CULTURA - UN MUSEO AFRICANO IN TERRA DI BARI

di Fedele Giuseppe Bartolomeo

Come mai troviamo un Museo sull’ Africa in terra di Bari? Così come i funghi  hanno bisogno di humus e di un determinato ambiente per appropriarsi di un bosco e poter esprimere tutta la loro bellezza e varietà, anche questo Museo sorge nelle Puglie, come un ringraziamento a tutti i pugliesi che hanno amato, seguito, lavorato, visitato e sofferto per i suoi figli Cappuccini, missionari in terra di Mozambico.  Da oltre sessant’anni c’è questo scambio tra la Puglia e il Mozambico e il Museo ne è il testimone, come uno specchio fedele di laboriosità e di riconoscimento.

Durante il primo decennio (1950-1960) il primo gruppo di missionari che giunse in Mozambico, in terra di Zambesia, dedicò tutte le sue forze per inserirsi nell’ambiente africano e superare i vari ostacoli che incontrava convivendo con la politica coloniale portoghese. Furono loro che misero le basi delle stazioni missionarie attenendosi al concordato tra Portogallo e la Santa Sede. I missionari pugliesi  della Provincia monastica di Puglia, fecero veramente miracoli nel costruire, partendo dal nulla, le proprie case, quelle delle suore, le centinaia di scuole,  cappelle e chiese. Non c’era tempo per pensare ad altro.

I primi  tentativi per far conoscere l’anima africana ai benefattori pugliesi, mediante l’arte, risalgono al  decennio (1960-1970). Così lo ricordava Padre Giulio: “.. dopo la visita in Africa del Ministro Provinciale del tempo, Padre Arcangelo da Barletta e dall’allora Segretario Provinciale per le Missioni Estere, P. Giovanni da Palo del Colle, furono allestite, all’inizio degli anni ’60, alcune vetrinette, contenenti oggetti in avorio e in ebano, e alcuni ingrandimenti di foto illustranti la vita e l’azione dei nostri Missionari in Zambesia. Erano solo un documento per la diffusione dell’idea missionaria nella nostra Chiesa locale per sensibilizzare all’ideale missionario” (1. Discorso di inaugurazione del museo, il 21 marzo 1981. Cfr. Missionari Nostri, nº 2, 1981, pag. 1. )

Furono proprio queste foto dei missionari, lo zelo di Padre Arcangelo nelle giornate missionarie, la mia partecipazione come studente in teologia nel dare una mano a P.Arcangelo nelle chiese di Bari, che mi fecero innamorare delle missioni, fecero sorgere in me l’idea di andare in Africa e fare di tutto per aprire a Bari un museo etnografico.

Di questo materiale nostalgico possiamo ancora ammirare nel museo, l’unica vetrina con animali imbalsamati contenente un grande tucano e gli ingrandimenti delle foto, nella rampa della scala di Via Torre Tresca, che mostrano le stazioni missionarie e alcune chiese. Oggi è materiale storico, perché le costruzioni furono quasi tutte distrutte o abbandonate dopo la nazionalizzazione da parte del Governo mozambicano e  durante la guerra civile tra Frelimo e Renamo.

Il primo vero contributo museistico giunse a Santa Fara  con Fra Agostinho da Colmeal,  missionario nella stazione di Morrumbala dal 1964-1971. Lo avevo conosciuto in Italia dove aveva frequentato il Noviziato ad Alessano e  dove si era iniziato alla  vita religiosa. Fu a lui che dissi per la prima volta che avevo l’idea di essere missionario in Mozambico e che volevo, con l’aiuto dei missionari, allestire un museo a Bari. Lui mi disse: “ti aiuterò e quando ritorno in Zambesia raccoglierò qualcosa”.

E così fu, quando ritornò in Italia apparve con due casse di materiale vario: alcuni trofei di caccia (teschi di scimmiette, di impala, di Kudu, ecc., qualche pelle di serpente), materiale usato da uno stregone , visibile nella vetrina nº. 1, alcuni piatti di legno, tamburi e strumenti musicali, qualche maschera e altri oggetti in ebano. Con questo materiale si fece una mostra nella Parrocchia di Santa Fara durante il periodo natalizio degli anni 1967 e 1968 e poi le vetrine restarono  in attesa nella foresteria dello Studentato Teologico per vari anni.

Nuova linfa missionaria in Zambesia

Padre Terenzio da Campi e P. Gaetano da Stigliano, ambedue Superiori Regolari della nostra missione, avevano sollecitato alla provincia Cappuccina di Bari, nuove presenze missionarie in Zambesia. Finalmente la loro lunga attesa fu ricompensata, perché dalla fine del 1969 al 1974 ben nove missionari nuovi diedero vita alla nostra missione. Essi furono 1970: Bruno  Guarnieri, Fedele da Cirigliano, Fortunato da Rutigliano e Zaccaria da Triggiano; nel 1971: P. Benito De Caro. P. Francesco Monticchio e P. Camillo Campanella; nel 1974: Girolamo da Rutigliano e Gaetano da Rutigliano.

Si ebbe una nuova linfa nella Diocesi di Quelimane. Si notava il nuovo soffio dello Spirito che aveva rinnovato la Chiesa mediante il Concilio. Fra le tante attività ci fu anche in primo piano l’idea di formalizzare in Italia un museo per far conoscere la cultura mozambicana nella terra d’origine dei missionari. Mi ricordo che nel 1970 in una lettera ciclostilata feci presente ai missionari l’idea di raccogliere tutto ciò che poteva essere oggetto di un futuro museo. Io mi trovavo a Luabo con Fra Giuseppe Gaudioso, che nei tempi liberi si dedicava alla filatelia e alla numismatica. Aveva raccolto moltissimi francobolli di Mozambico, Portogallo e di di altre nazioni. Un lavoro metodico  che portò avanti fino alla morte, lasciando alla Provincia Cappuccina di Bari tutto il suo lavoro, che oggi possiamo ammirare nel museo e nell’archivio. Per la numismatica gli dava una mano Padre Marcello da Giovinazzo per rintracciare monete antiche, medaglioni che avevano ricevuto i capi locali dalle autorità portoghesi nelle loro visite alla colonia e altri cimeli coloniali, che oggi possiamo ammirare in varie vetrine della sala di numismatica; mentre suo fratello Fra Pancrazio Gaudioso lo aiutava economicamente, mediante benefattori, per comprare non solo un moderno trattore per i campi delle cooperative cristiane, ma anche monete, francobolli e oggetti in ebano e avorio, che  gli artisti locali producevano. Parte di questo oggi sono esposti nella stanza degli avori e della filatelia. Il resto è negli archivi.  

In cerca di materiali e gruppo di artisti a Luabo   

Il sacrestano - catechista di Luabo Sig. Pires (vittima poi della guerra cicile) ed io  iniziammo i nostri primi viaggi  in Zambesia per raccogliere minerali nelle mine di Marropino. Poi ci dirigemmo fino al nord di Mozambico. A Nampula,  sulle coste e nell’Isola di Mozambico comprammo conchiglie e statue dei Makuwa. Per la raccolta delle conchiglie (Malacologia) un grazie particolare lo devo specialmente alla collaboratrice portoghese Rosa Maria Alves Pereira, che le comprava a Inhambane per il museo. Oggi possiamo ammirare una quarantina di varietà di cipree, oltre a coni, bivalve, murex, ecc.

Con la presenza di P. Francesco Monticchio a Luabo, sorse l’idea di accogliere nella stessa missione gli artisti che lavoravano l’ebano e l’avorio. I tronchi di ebano li chiedemmo alla missione di Mopeia, dove P. Bruno Guarnieri li fece tagliare nella foresta e poi trasportarli a Luabo, dove stagionarono. Nel frattempo  gli artisti che apparivano per vendere i loro prodotti furono invitati a restare in missione, con vitto e alloggio a spese dei missionari. Le opere che producevano venivano acquisite dai missionari, alcune per il museo altre per donarle ai benefattor e le altre li vendevano gli stessi artisti ai portoghesi. Fu un’ottima idea. Così oggi possiamo ammirare le opere di Lourindo e di altri suoi compagni, come: il cero pasquale, la famiglia, il monumento alla Frelimo, vari gruppi familiari, ecc.  Da questi artisti sono nate opere realiste, che ritraggono il momento politico del momento che si viveva in quei tempi.

Lungo il fiume Zambesi, scoprimmo che c’era una secolare tradizione di gioiellieri e scultori in avorio, con una evidente influenza portoghese e dei cristiani di Goa. Si trovavano sul mercato ambulante e nelle missioni dei padri olandesi, presenti  sul lato destro del fiume, oggetti di devozione cristiana: rosari, medaglie, statue di madonne, crocifissi, collane, spille. Anche questo materiale possiamo ammirarlo in due stanzette dell’attuale museo, quella degli avori e l’altra dell’argenteria.  Sono i primi tentativi di produzione artistica religiosa dei cristiani zambesiani. A Inhaminga acquistai  nel 1971 opere pirografate su legno tenero. Sono fantasie di artisti ambulanti e che possiamo ammirare nel museo, insieme a cassepanche in legno di umbila, con incisioni geometriche, opere di artisti Lomwe , popolo intermedio fra la Zambesia del nord e i Makuwa della provincia di Nampula.

Il mondo della terracotta

Sempre a Luabo il maestro Luis, amico da anni di Fra Giuseppe Gaudioso, si riteneva il miglior scultore in avorio. Era difatti  abbastanza quotato nella zona. Era veramente esperto nel dare forma a qualsiasi dente di elefante, ippopotamo o cinghiale che gli captava nelle mani. Molte sue creazioni si trovano nel museo nel settore degli avori. Di questo stesso artista è la bella collezione dei bassorilievi in terracotta. Unici esemplari in questo campo nell’arte zambesiana, che io conosca: scene di animali, vita quotidiana, teste di antenati sono stati plasmati in argilla e poi cotti a fuoco. Mi ricordo che quando gli chiesi di creare qualcosa in argilla, si mise a ridere e disse: “un uomo non lavora con l’argilla, che è materiale di donne!”. Ma dopo vari mesi apparve in missione, di notte, con un sacco chiuso sulle spalle, lo aprì e disse: “è questo che volevi? Ti può servire?”. Appena li vidi lo ringraziai, lo pagai e oggi possiamo ammirarli in un vetrina del museo.

Altri pezzi di terracotta della Zambesia, presenti nel museo, sono di uso domestico, come: pentole, piatti; recipienti per l’acqua. Alcuni sono donati dai cristiani di Luabo o Morrumbala,  altri li ho presi, dopo aver chiesto permesso , pronunciando la parola “Kopeni”, sulle tombe dei cimiteri della zona di Katchope a Luabo, ringraziandoli con una sigaretta o qualche moneta, depositate sulla tomba.

Altro materiale esposto

Sullo Zambesi l’arte statuaria non è mai stata a servizio degli autoctoni, ma era rivolto al commercio con gli europei, quindi seguivano i gusti dei committenti. Arte molto statica, con poca vitalità e fantasia. L’esempio più antico presente nel museo e una statuetta lignea, salvata da P. Bruno a Mopeia. Risale alla fine del XIX secolo, e rappresenta una signora europea  coi vestiti dell’epoca. Ma nelle opere degli artisti, ospitati nella missione di Luabo negli anni ’70, già si può  notare qualcosa di nuovo, che i missionari seppero valutare e conservare.

Nella sala grande del museo possiamo ammirare non solo: statue, maschere, armi, frecce, lance, minerali, conchiglie, cimeli storici coloniali, trofei e reti da caccia, cortecce d’albero che servono come stoffe per vestirsi, ma anche una ricca presenza di minerali, flora e fauna. A proposito così scrive Pasquale Pellegrini nel suo articolo Nel santuario di Santa Fara uno spicchio di Mozambico:“Trentacinque vetrine in tutto che illustrano, secondo aggiornati criteri di museologia, un percorso che delinea l' ambiente naturale e quello antropico, consentendo una conoscenza delle risorse, dell' arte, della musica, dei sentimenti e della vita quotidiana della popolazione. Quarzi, tormaline, acque marine, pietre semipreziose, rocce sedimentarie e vulcaniche, reperti fossili, tra cui ammoniti di circa 400 milioni di anni fa, conchiglie di dimensioni considerevoli aprono il percorso museale.per la flora sono esposte 42 specie vegetali, vari semi e diverse essenze legnose. La botanica entra nel museo con il lavoro di padre Rosario Amico, ordinario della disciplina all' Università di Bari, artefice dell' orto botanico e grande conoscitore della flora del Mozambico”. (Repubblica — 19 novembre 2002   pagina 14   sezione: GIORNO E NOTTE)

Per i più piccoli c’è anche la presenza di giocattoli con i quali i bambini mozambicani si divertono, come in tutto il mondo. La raccolta di questi pezzi la si deve a P. Bruno Guarnieri, che ha intravisto benissimo la presenza di questo settore,  rendendo il museo più umano. A lui si deve anche la raccolta di ogni tipo di monili femminili, come: orecchini, anelli, braccialetti, dove non predomina il valore dei materiali, ma la bellezza che i poveri sanno dare agli scarti della società moderna. A Padre Benito De Caro si deve, invece, la raccolta di giocattoli più moderni: biciclette, macchine, Land-Rover, motociclette. Il tutto eseguito con ferro filato e plastica.

Oltre a ciò possiamo intrattenersi apprezzando pezzi in bronzo, da me acquistati a Saragozza da Medicus Mundi, che riproducono figure storiche dell’arte del Benin e Costa d’Avorio. Non mancano braccialetti di rame, di bronzo, di conterie multicolori, pipe, tessuti appesi che servono per le Kapulane, che servono da vestito per la donna e anche per avvolgere il proprio bambino sulle spalle.

Altro materiale esposto

Sullo Zambesi l’arte statuaria non è mai stata a servizio degli autoctoni, ma era rivolto al commercio con gli europei, quindi seguivano i gusti dei committenti. Arte molto statica, con poca vitalità e fantasia. L’esempio più antico presente nel museo e una statuetta lignea, salvata da P. Bruno a Mopeia. Risale alla fine del XIX secolo, e rappresenta una signora europea  coi vestiti dell’epoca. Ma nelle opere degli artisti, ospitati nella missione di Luabo negli anni ’70, già si può  notare qualcosa di nuovo, che i missionari seppero valutare e conservare.

Nella sala grande del museo possiamo ammirare non solo: statue, maschere, armi, frecce, lance, minerali, conchiglie, cimeli storici coloniali, trofei e reti da caccia, cortecce d’albero che servono come stoffe per vestirsi, ma anche una ricca presenza di minerali, flora e fauna. A proposito così scrive Pasquale Pellegrini nel suo articolo Nel santuario di Santa Fara uno spicchio di Mozambico:“Trentacinque vetrine in tutto che illustrano, secondo aggiornati criteri di museologia, un percorso che delinea l' ambiente naturale e quello antropico, consentendo una conoscenza delle risorse, dell' arte, della musica, dei sentimenti e della vita quotidiana della popolazione. Quarzi, tormaline, acque marine, pietre semipreziose, rocce sedimentarie e vulcaniche, reperti fossili, tra cui ammoniti di circa 400 milioni di anni fa, conchiglie di dimensioni considerevoli aprono il percorso museale.per la flora sono esposte 42 specie vegetali, vari semi e diverse essenze legnose. La botanica entra nel museo con il lavoro di padre Rosario Amico, ordinario della disciplina all' Università di Bari, artefice dell' orto botanico e grande conoscitore della flora del Mozambico”. (Repubblica — 19 novembre 2002   pagina 14   sezione: GIORNO E NOTTE)

Per i più piccoli c’è anche la presenza di giocattoli con i quali i bambini mozambicani si divertono, come in tutto il mondo. La raccolta di questi pezzi la si deve a P. Bruno Guarnieri, che ha intravisto benissimo la presenza di questo settore,  rendendo il museo più umano. A lui si deve anche la raccolta di ogni tipo di monili femminili, come: orecchini, anelli, braccialetti, dove non predomina il valore dei materiali, ma la bellezza che i poveri sanno dare agli scarti della società moderna. A Padre Benito De Caro si deve, invece, la raccolta di giocattoli più moderni: biciclette, macchine, Land-Rover, motociclette. Il tutto eseguito con ferro filato e plastica.

Oltre a ciò possiamo intrattenersi apprezzando pezzi in bronzo, da me acquistati a Saragozza da Medicus Mundi, che riproducono figure storiche dell’arte del Benin e Costa d’Avorio. Non mancano braccialetti di rame, di bronzo, di conterie multicolori, pipe, tessuti appesi che servono per le Kapulane, che servono da vestito per la donna e anche per avvolgere il proprio bambino sulle spalle.

Allestimento del Museo Etnografico

Il decennio 1970 - 1980 fu decisivo per la realizzazione dell’attuale Museo Etnografico. I Frati Cappuccini scelsero i locali dell’antico coro e relative cappelle del convento di Santa Fara, una volta che la comunità si trasferì per il culto nel nuovo Santuario. Dal discorso di inaugurazione stralcio la conferma: “Il progetto di un Museo prendeva consistenza solo negli anni ’70 con P. Lorenzo Invidia, Ministro Provinciale di allora. Nel 1976 la Fraternità Provinciale maturava la convinzione che il materiale accumulato necessitava ormai di una propria sede stabile. Il periodo ’76-81 è stato il lungo periodo della preparazione dei locali e dell’allestimento di tutto ciò che oggi costituisce questo Museo Etnografico”.

È doveroso ricordare tutti coloro che hanno collaborato con il proprio talento a tale allestimento. Alcuni di loro già  hanno lasciato questo mondo, come sono Fra Cirillo ………… ,che con premura portò a termine l’impianto elettrico di tutto il complesso e delle singole vetrine, incluso l’impianto d’allarme e il filo musicale, che purtroppo oggi non funziona e ha dato possibilità a qualche ladruncolo di professione, rubare il più antico oggetto che c’era: un crocifisso in avorio del XVI sec. di fattura portoghese. Non mi meraviglio che l’articolista della Repubblica, sopra citato scriva, già aveva avvertito nel 2002, con queste parole: “Tuttavia, la ricchezza di materiali manca di spazi idonei e adeguati alle norme di sicurezza. E' il vero problema del museo barese”. Spero che qualcuno ne prenda nota e trovi un’ottima soluzione. Al Padre Francisco Chimoio, oggi arcivescovo di Maputo, che allestì la “Nyumba” (capanna) che ancora domina il centro della sala centrale. Un ricordo speciale a Fra Leonardo da Margherita che, come falegname e fac totum era sempre disponibile e disposto  a trovare la soluzione in come sistemare il materiale, lavorando con legno, plastica, colla, tronchi. Un grazie anche a Giuseppe Cionfoli, che ha lasciato l’estro del suo pennello in alcuni quadri che adornano il museo e la sala centrale.

Inaugurazione del Museo

Il museo venne inaugurato il 21 marzo del 1981 “per un attestato della nostra Provincia Dei Frati Cappuccini di Puglia al carissimo P. Guglielmo Napolitano da Barletta, ricorrendo oggi il 50º anniversario del suo Sacerdozio e che in qualità di Ministro Provinciale nel 1950 inviava il primo gruppo di otto missionari in Zambesia Inferiore –Mozambico” (1)

Alla cerimonia erano presenti rappresentanti della Regione Puglia, di Mozambico, della Gazzetta del Mezzogiorno e altre personalità vicine ai Cappuccini, amici e benefattori. Il giornalista Michele cristallo così scrive nel suo articolo “Nel Mistero dell’Africa”, sulla Gazzetta del 21 marzo 1981:”  Il museo etnografico sarà inaugurato questa mattina alle 10,30. È articolato in sezioni: sacrifici e danze, strumenti musicali, artigianato artistico, sculture in legno,terrecotte, attrezzi per la caccia …. Accompagna il visitatore, in sottofondo, una musica registrata nei villaggi del Mozambico e che rappresenta una sintesi significativa delle tradizioni musicali di quel popolo”.

Dopo l’inaugurazione il Museo ha triplicato il suo contenuto, arricchendosi costantemente, grazie all’interesse dei missionari, del segretariato delle missioni, e aiuto della Regione Puglia. Finché ci saranno i missionari, questa ricchezza umana e artistica non si fermerà e sarà una testimonianza viva dell’amore del popolo di Puglia verso Mozambico.

Pinacoteca e manifesti politici

Nella scala d’ingresso al Museo si potranno ammirare la maggior parte dei manifesti propagandistici della Frelimo nei suoi primi cinque anni dopo l’indipendenza. È una documentazione socio-politica del partito, con la sua ideologia e calendario di acculturazione della nuova visione del mondo, della donna, del bambino, della salute, delle forze armate, scene umoristiche per prendere in ridicolo lo Xiconyoka (reazionario fannullone).

Nelle stanzette laterali c’e una buona presenza di dipinti di autori zambesiani e alcune tavole sulla  danza di anonimo keniano. Nel patrimonio della pinacoteca si possono ammirare vari quadri della famosa pittrice mozambicana Bertina Lopes, amica di P. Benito, che ha regalato molti suoi quadri e una scultura in bronzo al Museo. Di questa pittrice che ha esposto in varie parti del mondo e anche alla Biennale di Venezia, l’allora ministro dei Beni Culturali del Governo Italiano, On. Francesco Rutelli così ha scritto: Ho visto mostre di Bertina, ho sfogliato i suoi cataloghi. La cosa che colpisce di più è la sua ricchezza espressiva, assente da ogni banalità: una diversità che testimonia la sua grande padronanza della tecnica … Inoltre lei ha anche la forza di rappresentare un paese giovane come il Mozambico.Si tratta di una donna che proviene da lì, che è conosciuta nel mondo e che ama Roma e la nostra Italia. E anche adesso, che è più Italiana che Mozambicana, resta nel cuore di quella terra meravigliosa che è il Mozambico … Una terra amica dell'Italia e di cui l'Italia porta l'orgoglio di aver contribuito al processo di pace in quel paese. E' una grande artista”.(http://www.pittori.org/lopes/).

Presenza di scultura Makonde

L’unica arte mozambicana che, finalmente, possiamo trovare nei più grandi musei etnografici mondiali è l’arte dei Makonde, che vivono fra la Tanzania e il Mozambico. Popolo fiero delle proprie tradizioni, guerriero, matriarcale, con forti tradizioni ancestrali che si esprime nelle danze del Mapiko, con maschere lignee a forma di casco e indossate, in un ambiente di speciale attesa emotiva, per ricreare il mondo degli antenati e incutere rispetto agli spettatori. Nel museo se ne possono ammirare varie decine.

In questi ultimi venti anni  il museo  è stato arricchito in modo particolare dalla presenza di Padre Francesco Monticchio nella missione di Nangololo e dalla passione e costante ricerca e acquisti di  P. Benito De Caro, durante  le sue visite. La loro generosità, costanza e amore al museo e al popolo mozambicano è presente nei vari pezzi oggi esposti nel museo. È dovuto a  queste due persone, direttamente implicate sul terreno, che oggi il materiale makonde del nostro museo è ricco di pezzi di ceramica,  statue in ebano rappresentanti vari folletti del mondo mitico ancestrale. Possiamo vedere la differenza fra lo stile shetani  e quello Ujamá dell’arte makonde. Non mancano i cilindri di legno che le donne si infilano nel labbro superiore; braccialetti di rame;  antichi fucili,  alcuni di fattura artigianale. Questo materiale, che i due missionari hanno raccolto e messo a disposizione di tutti, dà la possibilità ai visitatori   di ammirare la ricchezza spirituale, umana e sociale del grande  popolo dei Maconde.

Un grazie particolare a P.Matteo Valerio da Sanicandro, Direttore del Museo dagli inizi ad oggi per il suo affanno nel salvare agli inizi il salvabile; per la passione nello scrivere insieme a me il libro guida del museo nel 1982 ; la pubblicazione dei libri nella collana Museo: Il coniglio disse, e L’arte Makonde nel 1985; per la paziente collaborazione portata avanti con la Regione Puglia; per gli impicci burocratici e di altro tipo che ha dovuto sorvolare nel suo lungo cammino di direttore.

Un appello di solidarietà con il Mozambico

La Puglia potrà esserne fiera. Se  i pugliesi  vogliono iniziarsi ai safari, addestrarsi in mondi esoterici, sentire  echi primitivi della storia e vedere plasmata la fantasia artistica di altre terre hanno a loro disposizione una preziosa raccolta per intrattenersi, studiare, fare ricerche etnologiche, botaniche, numismatiche, filateliche, malacologiche, mineralogiche, sociali, linguistiche (ci sono centinaia di libri nei vari dialetti mozambicani), artistiche, musicali, ecc. Potranno essere più colti, conoscendo altre terre, altre tradizioni, altre espressioni artistiche e culturali. Potranno ridere o “vergognarsi” vedendo appesi a una colonna del museo, dei disegni del 1600, che mostrano come gli europei pensavano che fossero gli abitanti dell’Africa !

Nel museo i ragazzi delle scuole, e - invito tutti gli incaricati della loro formazione - che i loro alunni lo visitino, così avranno l’opportunità di uscire dalla visione troppo ristretta della propria nazione o regione. I ragazzi troveranno campo per la fantasia, spaziare nelle foreste tropicali, vedendo pelli di serpenti, teschi di ippopotamo, zanne di elefanti, teschi di scimmie, trofei di caccia: antilopi, leone, leopardo, ecc.

Potranno immaginare come si danza in Africa, ammirando i vari strumenti musicali: tamburi, chitarre, kocho, corna, sonagli, sanze, cetre, lira, marimba, ecc. Ammirare la ricchezza dei tatuaggi, dei colori che vestono il loro corpo, le maschere zoomorfe e antropomorfe che faranno rivivere gli echi notturni delle danze tropicali e vedere come è molto più sana la loro vita che quella di molti  chiusi in discoteche nostrane.

Gli amanti dell’arte potranno studiare, ammirare e capire meglio anche l’arte moderna che molto deve alle espressioni simbolico artistiche dei popoli africani, dove come si potrà costatare la funzionalità degli oggetti spesso si veste di un candore e semplicità artistiche, che molti artisti moderni vorrebbero possedere. La gente si renderà conto, visitanto il museo, che l’arte non ha barriere, né confini.

La visita al Museo etnografico Africa Mozambico di Bari Santa Fara potrà essere un giorno diverso dagli altri. Potrebbe essere l’inizio di nuove visioni artistiche, nuovi orizzonti di studi, di stile di vita, di ricerche antropologiche, di avvicinamento ad altri popoli ricchi di storie, filosofie proprie, cosmogonie particolari che arricchiscono l’arte, la vita, i sogni, gli incubi e le speranze di molti popoli di questa terra.

Una visita a questo museo potrà servire per capire meglio molti emigranti africani che vediamo sul territorio italiano, comprenderli e capire che loro, come noi, abbiamo lo stesso cuore, le stesse ansie, le stesse speranze. Possiamo capire perché il loro metro di valutazione è diverso, perché diverse sono le basi umane, sociali, spirituali e filosofiche che ogni popolo porta nella sua anima, come un fagotto che non può né deve abbandonare, ma che vuole condividere, confrontare con gli altri esseri umani e trovare insieme un cammino più fraterno, umano e morale per vivere in pace e fraternità su questo bel pianeta terra.

Visitando questo museo, grandi e bambini, potranno capire come la presenza missionaria in quelle terre mozambicane, ha saputo cogliere il senso vero della cultura, dell’anima africana, della loro spiritualità e della loro visione del mondo. Vedranno espressa la loro fede, che i missionari pugliesi hanno portato, ammirando il loro senso artistico in opere a sfondo religioso, come i bellissimi personaggi del presepio, che san Francesco ha lasciato nella tradizione natalizia cristiana, come patrimonio del mondo.

La grande varietà di opere in ebano dei vari gruppi etnici mozambicani, che i missionari pugliesi hanno avuto la fortuna di conoscere, la presenza costante della figura femminile, ci richiama alla memoria la tradizione locale di un mito makonde che dice. “ Molto tempo fa viveva una creatura, simile all’uomo, che girovagava sulla terra e si annoiava. Un giorno prese un tronco e lo scolpì. A sera, ormai stanco, si addormentò.  La mattina avvicinandosi al pezzo di legno scolpito, si meravigliò nel vedere che era nata la donna”.

Sia anche la vostra visita al museo una continua meraviglia e  un segno di apprezzamento della saggezza e ricchezza del popolo che la Puglia ha sostenuto in quasi sessant’anni di preghiera, offerte e generosità.

Per gli studiosi di culture etnologiche, una sosta in questo Museo,  potrà  essere un rifugio per sfogliare i numerosi libri presenti nella piccola biblioteca, accedere agli archivi della missione, allo schedario fotografico e a quello dei singoli oggetti con rispettive foto. Il lavoro di prima schedatura di tutti gli oggetti nel registro mastro, la loro numerazione e compilare le migliaia di schede descrittive dei singoli pezzi, mi è costato molte ore di lavoro. Ma ne è valsa la pena se aiuterà molti studiosi e amanti della ricchezza culturale dei popoli a capirli meglio e amarli.