DA MAPUTO AL ROWUMA

di Dario ed Elvira Giannoccaro

L'accoglienza

Non ci è dato sapere perchè il Signore scelga proprio noi, in un particolare momento della nostra vita, per usarci come suo strumento in opere meravigliose. Basta lasciare socchiusa la porta del proprio cuore perchè Lui entri e prenda in mano il timone.....

E’ così che noi due ci siamo trovati in Mozambico, lontani da mille problemi e preoccupazioni che riguardavano sia il nostro lavoro, sia la preparazione del nostro matrimonio, in programma il 16 settembre.

Dopo una serata trascorsa a Maputo, dove dalla fine della guerra civile stanno aumentando violenza e disordine a causa di coloro che, avendo trovato rifugio in città, non hanno ora alcun mezzo di sostentamento, nè la possibilità di far ritorno nella foresta, siamo ripartiti alla volta di Quelimane. All’arrivo siamo stati accolti da una folla festosa: fra' Antonio e i suoi collaboratori, padre Chimoio, padre Zaccaria e un gruppo di ragazzi fiorentini in visita alle suore agostiniane. In un istante i timori, che durante il viaggio si erano spesso affacciati alla nostra mente, sono svaniti per lasciare posto a quella sicurezza e serenità che da quel momento ci hanno accompagnato per tutto il nostro viaggio. Ci trovavamo in un paese lontano e a noi sconosciuto, ma eravamo circondati da tanti amici, anzi qualcosa di più che amici : da fratelli.

Fratelli i missionari, che si sono sempre preoccupati di non farci mancare nulla, di farci sentire a nostro agio (per quanto era loro possibile) e soprattutto di farci vivere un’esperienza unica e meravigliosamente intensa.

Fratelli i mozambicani, che ci hanno accolto con tanta gioia e non ci hanno offerto il superfluo, come siam soliti fare noi con i nostri ospiti, ma davvero tutto ciò che possedevano. Lo abbiamo sperimentato soprattutto quando con padre Zaccaria siamo stati ospitati per quattro giorni e tre notti dalle comunità cristiane di Posto Campo. In questi villaggi, sperduti nella foresta, privi di energia elettrica, lontani da posti sanitari, la cui unica fonte di approvvigionamento idrico è un fiume infestato da coccodrilli .... abbiamo scoperto la gioia di vivere.

La gioia di vivere appartiene ai poveri?

Proprio così: qui la gente non ha nulla, men che meno ospedali e scuole; lotta da sola contro malattie come malaria, dissenteria (letale soprattutto tra i bambini),anemia causata dalla monoalimentazione, oppure contro difficoltà ambientali: leopardi, coccodrilli, vendette tribali o, peggio, sanguinose guerre civili delle quali non conosce nemmeno le cause; però è felice, in un rapporto meravigliosamente armonico con Madre Natura. La nascita e la morte, ad esempio, cosa sono se non l’inizio e la fine di un ciclo naturale?

E’ in questi villaggi che il Signore ha iniziato a farci riflettere non sulle loro, ma sulle nostre miserie. Noi, nella nostra opulenta società, viviamo con affanno l’oggi, proiettati già nel domani. Ci struggiamo all’idea di non poter acquistare l’ultima innovazione tecnologica, già da tempo in possesso del nostro vicino. Ci ammazziamo per conquistare il potere o per ricevere una fetta “miserabile” di eredità. Non ci fidiamo più l’uno dell’altro. In Mozambico non ci sono porte e finestre, gli “altri” sono sempre accanto a te, ti abbracciano o ti regalano un sorriso pur non conoscendoti. E poi ciascuno si affida alla Provvidenza, senza preoccuparsi del domani, vivendo ogni istante come se fosse l’ultimo.

L’insegnamento donatoci da questa esperienza giustificava da sè la nostra presenza in questo angolo sperduto del mondo, ma le sorprese, ce ne accorgemmo presto, non sarebbero finite qui.

Inhassunge

La mattina successiva al nostro ritorno da Posto Campo, eravamo già in viaggio verso Inhassunge, su una specie di scatolone di latta arruginito che solo con una certa fantasia si poteva definire traghetto. Qui ci attendeva, oltre a padre Gaetano e padre Alfonso, un paradiso naturalistico di ninfee e palme da cocco, di uccelli coloratissimi e di simpatiche scimmiette, trasformatosi tuttavia in un inferno durante il periodo della guerra civile. Il nostro pensiero, nel guardare i tanti bambini sorridenti ed entusiasti di essere fotografati, andava ai tre martiri Cappuccini, che tanto hanno amato quella terra e quella gente da dare la propria vita.

Verso il Rowuma

A Quelimane abbiamo avuto solo il tempo di rifare le valigie e siamo subito ripartiti in jeep verso Nangololo con padre Chimoio. Dalla fine della guerra, gran parte delle strade sono state sminate e quindi sono transitabili, ma si presentano in condizioni terribili: i tratti asfaltati sono brevissimi, in alcuni punti l’asfalto è stato tagliato oppure bruciato dai guerriglieri per tendere imboscate, in altri, mai asfaltati, ci sono numerose e profonde crepe. Di tanto in tanto si incontrano gruppi di bambini che trasportano terra per coprire qualche buca più profonda, lavoro inutile perchè la prima pioggia porterà via tutto! Il nostro viaggio è durato due giorni ed è stato intervallato da numerose soste: Mocuba, Alua, Carapira, Nampula, Gurue e Nauela sono solo alcune delle missioni che abbiamo visitato e dove abbiamo conosciuto gente straordinaria. Laici, frati e suore di diverse congregazioni religiose, tutti “missionari”, cioè uomini che hanno risposto alla chiamata del Signore mettendosi al servizio totale dei fratelli più bisognosi. Purtroppo sono in pochi ed i problemi da affrontare numerosi e gravi.

Ad Alua, ad esempio, abbiamo visitato un grande posto sanitario gestito da una sola suora comboniana, suor Angelina. In questa zona, purtroppo, si muore ancora di fame, la terra è molto arida e le scorte di cibo durano solo pochi mesi l’anno. Così intorno all’ospedale sono state sistemate numerose tende per ospitare i casi più gravi di malnutrizione. Non tutti ce la fanno: dall’inizio dell’anno più di cento bambini sono morti. Altra grave emergenza è la tubercolosi, circa 500 malati a fronte di soli 90 posti letto, per cui la maggior parte di essi dorme all’aperto. Per di più suor Angelina deve occuparsi di coloro che, a seguito di cadute da alberi o peggio di mutilazioni da machete, si presentano in gravi condizioni.

Come fa una sola persona a sostenere questo peso immane senza abbandonare la lotta? E’ la forza della Spirito Santo che la sostiene.

In Mozambico gli unici ospedali, le uniche scuole che funzionano sono gestite da missionari. Senza di loro la gente sarebbe davvero abbandonata al suo destino e non avrebbe alcuna speranza di uscire dalla miseria in cui si trova.

Ma torniamo al nostro viaggio, reso difficoltoso a causa delle strade dissestate. Padre Chimoio ci ha portati fino al Rowuma, il fiume che segna il confine con la Tanzania. Siamo giunti infine alla grande missione di Nangololo.

Nangololo

Abbiamo subito visitato il mulino con il quale la comunità di Nangololo si autofinanzia e poi la scuola in costruzione, che padre Francesco spera di completare per l’inizio del prossimo anno scolastico. Siamo anche andati giù alla fonte, dove le donne del villaggio (quella dei Makonde, etnia dominante in questo altopiano, è una società rigorosamente maschilista) vanno a rifornirsi d’acqua, approfittando dell’occasione per farsi una doccia rinfrescante e per lavare i panni. Credeteci, nonostante non avessimo alcun peso, la salita di ritorno ci è sembrata interminabile, eppure le donne mozambicane l’affrontano portando in testa taniche con 20 litri d’acqua, i panni lavati e, a volte, un bimbo sulle spalle. Speriamo che padre Francesco riesca a realizzare anche il suo secondo sogno, quello di costruire un pozzo in alto tra la missione e il villaggio.

Sempre a Nangololo abbiamo fatto un incontro che rimarrà per sempre scolpito nei nostri cuori: quello con i bambini della vicina scuola materna gestita dalle suore della Consolata. Ci hanno accolto con un gioioso e corale :”Bon dia, como sta?”, al quale abbiamo dovuto rispondere con il nostro stentato portoghese e poi, aiutati dalle loro maestre, hanno intonato per noi diversi canti, finchè non è giunta l’ora della “pappa”, che consiste in una polenta fatta con farina di miglio ( è tutto quello che le suore riescono a preparare con i pochi fondi a disposizione). Quel giorno, alla polenta, noi abbiamo aggiunto delle caramelle ed è allora che abbiamo assistito ad uno spettacolo davvero commovente: alcuni bambini hanno scartato la caramella per assaggiarne un angolino, poi l’hanno richiusa per riaprirla un istante dopo e tutto questo per più volte, altri  l’hanno custodita gelosamente, magari per portarla a casa e mostrarla trionfanti al resto della famiglia. E pensare che da noi i bambini le caramelle non le vogliono più, hanno cose migliori!

E’ con questa immagine nel cuore che siamo ripartiti da Nangololo alla volta dell’Isola di Mozambico, ex capitale del Paese durante il periodo coloniale, dove i bambini, e questo ci ha molto turbati, sembra abbiano perso il loro splendido sorriso e dove tutto è in rovina. Sulla città sembra che si sia abbattuto un terribile cataclisma: la gente non vive nelle povere ma dignitose “pallhotas” di pali e fango, come nel resto del Paese, ma nelle rovine di costruzioni coloniali in terribili condizioni igieniche. Il povero parroco, con la forza dello Spirito Santo, è costretto a fare salti mortali per sottrarre i ragazzi dell’isola dalla strada. Assistiamo, in questo drammatico contesto, ad uno spettacolo naturale di incomparabile bellezza, quello  dell’oceano che si ritira di diversi chilometri per poi, dopo qualche ora, riappropriarsi del proprio spazio vitale.

Ritorno a casa

Non è facile, quando si fanno esperienze tanto significative, accettare di dover tornare a casa. Cominciamo a rifiutare quel sistema economico, da cui anche noi proveniamo, che contribuisce ad impoverire sempre più quei popoli. Il Mozambico, come altri Paesi del Terzo Mondo, ricchissimo di risorse naturali, è sfruttato all’inverosimile dalle potenze occidentali, che per di più aspettano il momento propizio per far scoccare la scintilla di nuove guerre, per decidere poi unilateralmente il momento di monetizzare i crediti accumulati dalla fornitura di armi alle parti contendenti. Nel nostro piccolo, vorremmo tanto poter dare un contributo per cambiare questa insostenibile situazione, cominciando a non accettare passivamente tutto ciò che ci viene propinato dall’esterno e ad andare contro corrente come Gesù Cristo ci insegna.

Dario ed Elvira Ginnoccaro ringraziano

Ringraziando tutti coloro che hanno partecipato al nostro matrimonio ed in quell’occasione hanno aperto il cuore alle necessità dei poveri del Mozambico, vi comunichiamo il modo in cui abbiamo destinato, con la collaborazione del Segretariato Provinciale delle Missioni estere Cappuccine, la somma raccolta:

- lire 3.000.000 alle Suore Francescane di Quelimane che, provvedono al recupero dei bambini della strada che hanno alle spalle drammatiche situazioni familiari, spesso tragiche conseguenze della guerra;

- lire 3.000.000 per la realizzazione di un progetto idroelettrico a Nangololo: dove l’approvvigionamento idrico è alquanto difficoltoso e la gente convive perciò con gravi problemi sanitari;

- lire 3.000.000 alla scuola dei Martiri di Inhassunge in Quelimane;

- lire 2.000.000 alle Suore Francescane di Maputo, che in un conteso di dilagante violenza e sopraffazione, forniscono una minestra calda ai bambini più poveri, che rappresentano la categoria più esposta alle tragiche conseguenze della guerra;

- lire 733.000 alle suore di Nangololo che, pur tra notevoli difficoltà, riescono a fornire un pasto ai bambini della locale scuola materna.

La restante somma di lire 6.000.000 è stata utilizzata per far fronte agli indispensabili trasferimenti aerei che ci hanno consentito di arrivare in Mozambico.