LA FATICOSA OSTINATA RICERCA DELLA PACE

di Padre Benito De Caro

Una pagina di storia della Missione di Morrumbala, vissuta e raccontata

Il 1974 è stato un anno pieno di avvenimenti per Morrumbala, dove, come in altri parti del Paese, il colonialismo portoghese viveva gli ultimi sprazzi di vita, però sempre più attaccato dall'azione di guerriglia scatenata dal Fronte di Liberazione del Mozambico (FRELIMO)

Durante i miei anni di missione a Morrumbala ho rispettato tutti, senza distinzione di colore, ma di fronte agli abusi e ai soprusi nei confronti della popolazione locale ho alzato la voce, creandomi così qualche inimicizia tra i portoghesi con delle gravi conseguenze fino a farmi passare come collaborazionista del FRELIMO.

Ho ritenuto i portoghesi e gi africani uguali nei loro diritti e nei loro doveri e, quando un portoghese è morto suicida, mi sono opposto ad un solenne funerale come avrebbe voluto le forze politiche, senza tuttavia escludere un rito semplice e con la sepoltura nel nostro cimitero privato della Missione.

E' stato questo lo spunto che ha dato avvio alle ostilità aperte tra me e i portoghesi, i quali appunto pensavano che io aiutassi i guerriglieri con armi e viveri.

Si è trattato di un grave equivoco che ha messo a repentaglio più volte la mia vita e che, soltanto per un insieme fortuito di casi, si è risolto, con l'aiuto di Dio, in maniera positiva.

Dopo l’episodio del funerale,sono pertanto cominciate le indagini sul mio conto.

Il 7 luglio un ragazzo, entrando nel mio studio, mi comunicò che il capitano portoghese Martins mi attendeva fuori per parlarmi. Quale non fu il mio stupore quando, uscendo, vidi che tutta la missione era stata circondata da un enorme schieramento in armi e che molti soldati mi puntavano contro i mitra; erano presenti il sindaco ed il medico militare che ben conoscevo: contestavano alla Missione il diritto di avere un cimitero privato e di decidere dove e come seppellire i bianchi. Quando affermai, con documenti alla mano, che potevo dimostrare il legittimo possesso del cimitero e che non mi sembrava che quel problema meritasse uno schieramento armato, i militari se ne andarono, facendo però chiare illazioni sulla mia presunta collaborazione con il FRELIMO.

I giorni successivi furono segnati da diversi attentati e da ferimenti di civili e di soldati; la qual cosa convinse ancora di più i portoghesi che la base dei guerriglieri fosse vicina alla nostra Missione e, per questo, furono rafforzate le loro forze militari con paracadutisti, fucilieri oltre a qualche elicottero e due aerei.

In seguito alla loro minaccia di bombardare la Missione, le suore andarono via, le persone che abitavano attorno a noi, soprattutto centinaia di ragazzi e bambini che vivevano nel nostro internato scolastico, furono fatti allontanare. Anch'io passai qualche giorno a Quelimane e ritornai a Morrumbala con la viva raccomandazione dei superiori di non espormi ad inutili pericoli.

Pur sapendo che civili e militari mi avrebbero fatto volentieri la pelle, non potevo restare inattivo, per cui ripresi a fare catechesi nelle comunità più vicine con la piccola jeep dal tetto bianco, unica nella zona.

Il 17 luglio un grande camion carico di zucchero saltò in aria su una potente mina anticarro; soccorsi subito i feriti portandoli nella cittadina, cosa che mi rese più inviso ai portoghesi in quanto mi consideravano sempre più amico dei guerriglieri; io potevo spostarmi come volevo e loro no. E dire che solo dieci minuti prima ero passato da quel luogo; avrei potuto saltare io su quella mina!.....

La situazione intanto andava precipitando; Morrumbala aveva tutte le strade bloccate per cui non si poteva né entrare né uscire dalla città.

Dovevo fare qualcosa, per cui inviai alcuni amici fidati a spargere la notizia che volevo incontrare il capo dei guerriglieri ed io stesso mi misi a cercarlo. Qualche giorno dopo, il comandante in capo delle forze portoghesi chiamò Suor Olga e me, mentre la cittadina era piena di soldati e, mostrandomi una carta geografica, ci chiese di recarci nel vicino stato del Malawi per fissare un incontro segreto con i capi della guerriglia che supponeva si trovassero li.

Fui sbalordito dalla proposta perché avevo la loro fiducia, ma ero impotente, in quanto veramente non conoscevo i guerriglieri.

Lo dissi al colonnello, assicurandogli che, anche a rischio della vita, avrei cercato quel contatto, a condizione però che si impegnasse a togliere l'accerchiamento dalla missione e che nessuno pensasse più che fossi un collaboratore della guerriglia.

Lui accettò.

I giorni passavano in questa ricerca. Il primo agosto un catechista di Marrabuanha venne nel mio studio e mi chiese di seguirlo. Capii subito, avvisai la superiora Suor A. Alice, donna coraggiosa e matura, e partii.

Con la solita jeep arrivammo alla scuola-cappella di Marabuanha. Due brutti ceffi scalzi, laceri e sporchi mi invitarono a seguirli a piedi nella boscaglia. Il capo dei guerriglieri mi accolse con un abbraccio.

“Non abbia timore – mi disse – sappiamo tutto di lei, sapevamo che ci cercava, ma abbiamo atteso di avere il controllo della zona prima di incontrarla.”

Parlammo della situazione e della mia posizione con i Portoghesi. Dissero che consideravano i Padri e le suore papà e mamme della loro gente perchè stavano dalla parte del popolo. Avevano bisogno di medicine, di alimenti e altro. Risposi che avrei rischiato molto se avessi fornito quanto chiedevano. Trasse dal taschino una lettera e me la diede: era del comandante supremo del Frelimo in Zambesia, Bonifàcio Gruveta.

Mi sentii rincuorato: capivo di avere molta influenza su di loro.

Chiesi di poter visitare le comunità vicine alla Missione. Acconsentirono, purchè usassi sempre la sessa jeep dal tetto bianco, riconoscibile da lontano.

Nei giorni seguenti vi furono altri sanguinosi attacchi: l'obbiettivo era quello di isolare la cittadina.

L'8 agosto comparve nel mio studio il vice comandante Olivera, armato di tutto punto. Uscii sulla veranda;dappertutto guerriglieri armati di mitragliatori e bazuka. Mi diressi verso la casa delle Suore, incontrai il comandante Gunhere e il commissario politico Pedro. Mi abbracciarono. Dopo qualche esitazione, entrarono in casa. Conversammo a lungo, parlarono con la gente, mi chiesero viveri, medicinali, vestiario. Chiedevano tutto quello che vedevano: radio, aghi, carta, coltelli....

Quello stesso giorno ci fu un'altra imboscata: un camion militare saltò su una mina.

Decisi di agire,per mettere fine a questi massacri. Nei vari incontri avevo fatto capire al comandante dei guerriglieri che era tempo di sospendere questi attacchi e che i Portoghesi non volevano la guerra. Mi presentai al capitano portoghese e gli consigliai di scrivere una lettera ai capi del Frelimo.

I giorni seguenti le imboscate si susseguirono; fu distrutta la motopompa che dava l'acqua alla cittadina, volevano distruggere anche quella Missione, ma la risparmiarono perché serviva al popolo. Fu in quella occasione che riuscii a consegnare la lettera del capitano portoghese. I guerriglieri accettarono di parlamentare: la mia costanza e il mio coraggio stavano per realizzare l'impossibile. Fu deciso di tenere lo storico incontro nella Missione. Ebbi l'incarico di andare a prelevare il capitano Martins.Vedendoci partire, i soldati erano increduli ma pieni di speranza. L'incontro fu lungo, ma si giunse ad un accordo sul cessate il fuoco e su future altre trattative.

Quando riaccompagnai il capitano Martins, molti mi salutarono con grandi pacche sulla spalla, non mi guardavano più come un nemico,ma come un salvatore. Ero felice di questo successo. Era stato un cammino duro e difficile, ma intuivo che la strada verso la pace sarebbe stata ancora irta di incognite...

L'accordo si limitava alla nostra zona, ma naturalmente la pace dipendeva dalla situazione generale tra Governo Portoghese e Frelimo, sarebbe bastato un niente per farlo fallire. Tutti nutrivano molta speranza. Mi tenevo sempre in contatto con i due gruppi; fungevo da mezzo di comunicazione e nello stesso tempo controllavo e incoraggiavo il rispetto dell'accordo da ambo le parti. Mi sentivo forte e influente conoscendo molto bene le due forze. Tutto doveva essere fatto per il bene del popolo.

Continuavo i miei giri nelle comunità per fare le catechesi e per tenere d'occhio gli spostamenti dei guerriglieri. Nella zona di Marrundo scoprii il loro primo avamposto. Osservando i loro spostamenti e conversando con la popolazione, cominciai a capire dove si trovava la base centrale; proprio in quella zona saltò in aria un camion carico di mais.

Andai sul posto per rendermi conto dell'accaduto. La scena era desolante; negozi e bazar bruciati e devastati. Capivo i sentimenti dei padroni che avevano dedicato una vita a quell'attività. Si verificavano sempre più frequentemente atti di sciacallaggio. Fotografai tutto per denunciare questa situazione.

Il 7 settembre fu giorno storico. A Lusaka, capitale dello Zambesia, fu firmato l'accordo tra il Governo portoghese e il Frelimo. L'Accordo prevedeva il passaggio di potere al Frelimo, il 25 giugno 1975, giorno dell'indipendenza, dopo un anno di governo misto di transizione.

Intanto molti Portoghesi era fuggiti in zone più sicure, abbandonando tutti i loro averi. Si diffuse la falsa notizia che tutto apparteneva al popolo; si moltiplicarono quindi gli atti di sciacallaggio. Consiglia  quindi ai capi del Frelimo di organizzare comizi onde evitare una situazione di vera anarchia.

In relazione agli accordi, nella capitale Lorenço Marques, i Portoghesi organizzarono una rivolta, ma, per far cadere la colpa sui Mozambicani, si dipinsero il corpo di nero. La loro identità fu scoperta nel curare i feriti. Ci furono momenti di panico in tutto il Mozambico, per cui tutti i guerriglieri si tennero nascosti.

Il giorno 8 giunse in missione una lettera del capitano Martins per i capi del Frelimo, in cui si chiedeva un incontro urgente per spiegare che l'esercito non aveva nulla a che fare con i reazionari della capitale.

Dissi che non sapevo dove fosse la base dei guerriglieri, tenendo per me il risultato delle mie indagini. Chiesi che mi mandassero Joaquim Marrundo, figlio del capo del villaggio, che era allora soldato. Il Capitano capì; firmò un documento in cui dichiarava che il ragazzo aveva terminato il servizio militare e lo mandò da me in abiti civili. Joaquim era un bravo ragazzo, intelligente e coraggioso e conosceva tutta la zona come le sue tasche; come civile non lo esponevo a nessun rischio associandolo alle mie ricerche. Presa la torcia elettrica, ci dirigemmo con la jeep verso Marrundo. Arrivati al punto dove avevo scoperto l'avamposto dei guerriglieri, conversando con la gente, intuii qual era il cammino da seguire. Mi bastò guardare Joaquim negli occhi per capire che era un  ragazzo di fegato, decisi di andare avanti..

Dovevamo camminare nel letto quasi secco di un fiume, con l'acqua a volte al ginocchio. Andavo avanti io per non esporre il ragazzo: ero bianco, sarei stato conosciuto, speravo di non essere scambiato per un soldato portoghese. Ad una stretta ansa alta e boscosa del fiume, vedemmo sbucare dal nulla due guerriglieri scalzi e gesticolanti. “Para, para!” Ci gridarono. Ci fermammo di colpo.

Il primo a venirci incontro fu proprio il vice capo Oliveira. Mi fissò esterrefatto e con grande affanno mi disse: “Stava per essere ucciso” e mi indicò alcuni guerriglieri appostati sugli alberi. Per fortuna le sentinelle prima di sparare avevano dato l'allarme: “Muzungo na nfuti” (uomo bianco con fucile), scambiando la torcia elettrica per fucile e presero la mira. Oliveira accorse, mi riconobbe e fu lesto a far abbassare le armi. Mi sentii svenire, Oliveira mi abbraccio e mi accompagnò dal comandante tra gli sguardi increduli dei guerriglieri che forse per la prima volta vedevano un bianco entrare nella loro base. La base era grande: conteneva 40 guerriglieri combattenti e un buon numero di addetti logistici e strategici. C'erano molti ragazzi e ragazze reclutati nella nostra zona che venivano addestrati.

Il capitano Winda Gunhere mi ricevette con un abbraccio. Spiegai la rivolta della capitale e la posizione dell'esercito e consegnai la lettera del capitano. Mi chiese quali fossero le reali intenzioni del capitano portoghese; lo rassicurai sulla sincerità di quel messaggio; lo incoraggiai ad accettare la proposta di un incontro.

Gunhere confabulò con i suoi e decise di venire con me alla Missione con un gruppo di guerriglieri. L'incontro avvenne nella Missione.

Dopo aver parlato, i due capi decisero di fare una visita insieme al Quartier Generale di Morrumbala. Caricai tutti sulla mia jeep e li portai nella cittadina; la jeep sembrava un carro trionfale che portava i vincitori di guerra. Eravamo tutti vincitori; perché tutti avevamo lottato faticosamente e tenacemente per la pace, superando tantissime difficoltà di ambiente e di mentalità, paure e incertezze del futuro . Attraversando la cittadina, i Portoghesi ci guardavano con tanta meraviglia, ma anche con la speranza che la guerra fosse finita.

Al Quartier Generale i soldati, dapprima sbalorditi, si sciolsero poi in un saluto, offrirono ai guerriglieri molte cose, sopratutto sigarette.

Congedandosi i due capi si strinsero la mano.

Il 9 settembre fu sedata la rivolta di Maputo.

Il 13 settembre 1974 si tenne il primo comizio a Kimbabo dove Suor Olga lesse in portoghese e in lingua chisena il documento dell'accordo di Lusaka che stabiliva il cessate il fuoco fra Governo Portoghese e Frelimo.