PERCHÉ HO SCRITTO QUESTO LIBRO

dall’intervento di P. Benito De Caro

 

 

Molti amici, sentendomi parlare della mia vita e dell’Africa, spesso mi hanno chiesto di scrivere della mia esperienza.  Durante la mia recente malattia ho avuto modo di riflettere molto sul mio vissuto. Ho preso coraggio e ho dato inizio a scrivere quello che affiorava alla memoria e alla coscienza, tanti anni ricchi di avvenimenti che hanno coinvolto la mia vita e quella di tante persone incontrate lungo il cammino.

Ho voluto, tramite queste pagine, trasmettere un messaggio ai giovani.

“Ho imparato a guardare avanti , facendo tesoro del passato e a non dimenticare la memoria del vissuto”.

Ho incontrato tanti ostacoli nella mia vita, durante la formazione e ancor più nella vita missionaria (dovuti all’ambiente, alla cultura, al clima, al territorio, alla pochezza di mezzi, alla situazione politica, alle diverse mentalità ….); ho subito insieme ai confratelli la persecuzione per la fede e la delusione di vedere distrutto tutto quanto avevamo costruito con tanta fatica, sacrificio, impegno, caparbietà; a questo si aggiungeva il dolore di vedere tanti amici costretti a rivoltarsi contro di noi e tanta gente costretta a subire suo malgrado angherie ed umiliazioni. Ho trovato ostacoli nella malattia contratta in Africa che mi ha costretto ad interrompere quello che era il mio sogno di vivere la mia vita di missionario nella terra di missione.

Ogni ostacolo, invece di abbattermi, mi dava più vigore e la forza di superare e di andare avanti, anche perché il contesto in cui vivevo in Mozambico era un contesto di sofferenza con cui mi confrontavo ogni giorno e quindi sentivo l’impulso di superare la mia sofferenza, per cercare di operare e per diminuire la sofferenza degli altri. Ho scoperto così il valore della sofferenza che non si piange addosso, ma diventa operante.

Tornato in Italia per cause di salute, ho avuto dai Superiori l’opportunità di lavorare nell’ambito missionario e quindi ho cercato di incanalare tutte le mie energie per continuare ad alleviare la sofferenza del popolo mozambicano e poi del popolo albanese delle nostre Missioni.

Come fare? Mi ha sostenuto l’esperienza acquisita in Africa, dove già ogni nuova conoscenza diventava bagaglio essenziale per andare avanti e superare gli ostacoli (imparare la lingua, conoscere i costumi, le tradizioni, cercare il confronto nel dialogo e nel rispetto delle opinioni altrui, combattere contro le ingiustizie).

In Italia questo bagaglio è stato molto utile per l’animazione missionaria, trasferendo e adottando il modello africano di partecipazione alla vita della Chiesa. In Africa nella Chiesa, il sistema di collaborazione non è piramidale, ma orizzontale. In Africa i fedeli non sono esecutori delle direttive del Missionario, ma è la Comunità dei fedeli che scopre i carismi di ognuno e affida i vari ministeri (eucarestia, liturgia, catechesi, caritas, assistenza degli anziani ….) con l’approvazione del missionario.

Questo modello, trasferito nell’animazione missionaria mi ha consentito di scoprire tanti talenti e il valore della collaborazione dei laici. Solo così, in una sinergia di forze, insieme, siamo riusciti a realizzare tante opere che da solo mai avrei potuto compiere.  La collaborazione negli anni si consolidava, diventava fruttuosa, si concretizzava nel fare (vedi il lavoro dei volontari in missione e il lavoro di animazione e di organizzazione in Italia: contabilità, stampa, corrispondenza, spedizioni, contatti esterni …. ). C’era anche una presa di coscienza da parte dei laici ed una soddisfazione nel sentirsi capaci di operare in un contesto pieno di umanità prima a loro sconosciuto.

La recente malattia e gli anni che avanzano hanno determinato una pausa nel fare, ma non nella voglia di fare. Mi sento missionario nel cuore e il cuore non si cambia, lo sarò sempre per quanto il Signore vorrà concedermi, anche se per strade diverse.  E’ per questo che il libro è destinato a sostenere la Scuola Agraria a me intitolata, fondata da Fra Antonio Triggiante per dare uno sbocco professionale ai ragazzi di strada accolti in Casa Famiglia e sviluppo alla terra di Morrumbala dov’era la Missione dove ho operato per 7 anni.