XXV ANNIVERSARIO DEI MARTIRI DI INHASSUNGE

Il 27 marzo 1989, i Missionari Cappuccini P. Camillo Campanella, da Francavilla Fontana, P. Francesco Bortolotti e fra Oreste Sartori trentini furono uccisi con 17 giovani militari governativi in un conflitto armato nella Missione di Inhassunge in Mozambico.

La ricostruzione di quei tragici avvenimenti nel ricordo pieno di patos di P. Fortunato Simone, confratello missionario in Mozambico, scomparso qualche anno fa.
(dall’archivio storico di Missionari Nostri, N. 1/1999)

 

Ricordo di una Pasqua di morte in Mozambico

 

26 marzo 1989, domenica di Pasqua

 

Sono le 6 del mattino del giorno di Pasqua. Ancora insonnolito per la celebrazione della Veglia Pasquale, sono stato svegliato dal “telefono” africano. La notizia che ricevo è: all’alba, i guerriglieri della RENAMO hanno attaccato Inhassunge, villaggio a 20 km da Quelimane. I soldati del governo e tutta la popolazione sono fuggiti.

Quasi incredulo, “perché non è abitudine dei guerriglieri attaccare di domenica: e poi oggi è Pasqua! Ma c’è sempre una prima volta!...”, prendo la macchina e mi precipitoall’attracco del battello, sul fiume Bons Sinais per parlare con qualche eventuale passeggero provenienti da Inhassuge. Non qualche passeggero, sull’altra sponda si è concentrata tantissima gente in attesa spasmodica di lasciare l’isola per fuggire dall’orrore della guerra che attanaglia il Mozambico, portando distruzione, saccheggi e morte. Quelli che sono arrivati a Quelimane hanno diffuso la notizia.

Le notizie sono contraddittorie, non mi resta che aspettare. Se i Missionari hanno lasciato la Missione, devono averlo fatto solo via fiume, perché con la jeep dovrebbero attraversare il villaggio.

Ritorno a casa e ogni tanto cerco notizie che non arrivano. (…) Sono assillato dal dubbio, ma cerco di allontanare i pensieri tristi: i Missionari hanno le canoe, se necessario le prenderanno per  sfuggire al pericolo

Lunedì 27 marzo 1989

Appena sveglio mi reco al fiume e apprendo che anche questa mattina ci sono stati tiri di cannone e di mitragliatrici. Sappiamo che il pomeriggio di domenica una compagnia di giovani soldati, appena finito l’addestramento nei dintorni di Quelimane,ben equipaggiata in armi, aveva attraversato il fiume. Avranno sferrato il contrattacco mettendo in fuga i guerriglieri? Più tardi sapremo che l’attacco ci fu, ma i soldati erano fuggiti di fronte al nemico lasciando a terra tanti morti.

Dei Missionari nessuno sa niente, Questo silenzio sta diventando insopportabile, mi rende nervoso. Verso mezzogiorno, con un’imbarcazione della Croce Rossa, accompagnato da fra Antonio Triggiante, mi dirigo verso l’isola di Olinda, dove c’è una chiesetta con due stanzette dove il missionario risiedeva durante le sue visite, forse si sono rifugiati lì per non allontanarsi troppo dalla Missione. Giungiamo dopo un’ora: nessuna notizia. Padre Zaccaria, la mattina di Pasqua, terminata la messa e i battesimi, era ritornato in Missione. Per proseguire nel dedalo di canali del delta dello Zambesi avrei avuto bisogno di altre due ore di navigazione, ma avevo solo benzina sufficiente per tornare a Quelimane, dove nel pomeriggio erano arrivati Padre Chimoio e Padre Zaccaria con un novizio ed alcuni giovani. Da questi apprendiamo che i Padri Giocondo, Camillo Francesco e fratello Oreste erano rimasti in Missione, non vedendo la necessità di allontanarsi. Il giorno di Pasqua non era successo niente,non si era potuto andare nelle comunità la situazione era calma, ma piena di incognite. I guerriglieri si erano fermati nella zona amministrativa. Si erano avvicinati ad alcune capanne abbandonate per rubare qualcosa. Si erano sentiti degli spari e nella notte tanti segnali luminosi avevano tracciato il cielo. Quella mattina, Padre Chimoio, dopo essersi confrontato con i confratelli, avevano deciso di allontanarsi (con la canoa ndr.). Dopo la loro partenza si erano sentito un gran frastuono di armi da quelle parti.

Da questo momento cito il diario della missione (scritto da P. Giocondo Pagliara riportato nel suo libro “Bazooka e sangue a Inhassunge” ndr.) “Improvvisamente scoppiò il cielo. Crepitii laceranti di mitra, colpi di fucili, rombi assordanti di bazooka, soffocarono i deboli annunci di gioia del lunedì di Pasqua. Erano le 6,45. Si sparava dall’ufficio amministrativo a meno di un chilometro dalla missione. Renamo, Frelimo? Impossibile saperlo.

Ore 7,25, sento urla di terrore e di morte; urla strozzate dal sangue che forse gorgoglia a fontana, urla di uomini nei cui occhi d’improvviso si è spezzato il cielo.”

Dopo qualche ora saprò che quelle urla cariche d’orrore avevano segnato l’estremo olocausto dei miei fratelli crocifissi.

7,30 Sento voci rauche, ordini secchi e un prolungato sferragliare intorno alla residenza. Alzando lentamente un lembo di tendina, guardo dalla finestra: sono una trentina di guerrillheros, alcuni in divisa militare, altri in abiti civili ma assemblati con tinte violente, altri seminudi o con indosso uno straccio, imbracciano mitra, fucili o portano a coppie un coso che, senza averlo mai visto, intuisco essere il bazooka.Fuoco da ogni parte. E’ l’inferno.

Mi ritiro in un angolo, temo qualche colpo dalla finestra. Continuo a scriverein portoghese quanto vedo e sento. Le lettere dell’alfabeto si urtano tra loro ad angolo retto. Non si tratta solo di tremito nervoso, E’ terrore, terrore lucido.

7,45, improvvisa pausa di silenzio. Sento amplificato il battito caldo e accelerato del sangue. Guardo verso il Padre; “Nelle tue mani affido la mia vita”.

7,47, Si intrecciano schianti assordanti davanti alla residenza dalla parte del fiume. Ho l’impressione che ci sia qualcuno sul tetto, proprio sulla mia testa, forse è un uccello notturno,

7.50,Ancora voci in una lingua mai sentita. Urla, lamenti

7,54. I guerrillheros entrano nella residenza. Depongo il diario sul comodino e attendo. Forse è la morte.”

Questa è la testimonianza dell’unico superstite. Tutto il resto lo sa solo Dio.

Martedì 28 marzo 1989

Di buon mattino, Padre Francesco Monticchio e Padre Zaccaria Donatelli si avviano in moto verso la missione per sapere notizie dei confratelli. I soldati del FRELIMO sono appostati a 5 km da Inhassunge. Pur non assumendosi nessuna responsabilità, li lasciano passare. La scoperta della tragedia: la Missione è vuota, saccheggiata, l’officina incendiata, lungo la riva del fiume, dietro i magazzini, 17 corpi di giovani neri giacciono denudati e crivellati di colpi. Poco lontano, nascosti sotto alcune piante di banane, i corpi senza vita di Padre Francesco Bortolotti (presenta grandi ematomi sulle braccia e sulla fronte e la gola squarciata) e di Padre Camillo Campanella (Un graffio sul polpaccio destro ed un taglio tra le dita del piede destro)quasi riversi l’uno sull’altro, un lembo di una coperta adagiato sopra. In casa grandi chiazze di sangue.

Dopo alcuni giorni di intense e avventurose ricerche, coadiuvati dal direttore della Croce Rossa Internazionale, signor Cristian e da un chirurgo italiano dell’ospedale di Quelimane, dottor Matteo Rebonato, ritroveremo a Bigangire, a 18 km dalla Missione, sepolto in una fossa provvisoria, il corpo di fra Oreste Sartori. Aveva una profonda ferita sotto l’ascella destra.

9,30, Padre Francesco ritorna a Quelimane per dare la notizia, lo scoramento è fortissimo. Mi reco nella falegnameria (da me fondata e diretta, per fare preparare due casse: subito dopo mi metto al telefono per comunicare al mondo che due nostri fratelli hanno dato la vita per testimoniare la Parola di Dio tra la gente del Mozambico. Degli altri due non sappiamo niente. Sono ancora vivi? A chi apparteneva quel sangue trovato sul pavimento della casa? Sappiamo solo che due sono morti! (…)

Il Sabato Santo, verso mezzogiorno, Padre Camillo, con cui avevo condiviso gli anni di studi in seminario e successivamente la missione in Africa (1957 -1989)era venuto da me per avvisarmi che si recava a Inhassunge per celebrare la Pasqua con la Comunità della zona. Da un anno lavorava e viveva nell’episcopio di Quelimane con il Vescovo a servizio di tutta la comunità diocesana. Spesso vi ritornava per vivere e pregare con quelle comunità che gli erano stati affidati per 12 anni. Aveva contatto soprattutto con gli operai delle saline che aveva organizzato in cooperativa e continuava a sostenerli. La domenica di Pasqua dopo aver celebrato messa sulla via del ritorno, sarebbe venuto a pranzare con noi.  Mi aveva chiesto di preparare una lista di attrezzi di lavoro, voleva presentare alla Caritas Internazionale un progetto di sostegno agli artigiani: la guerra obbligava la gente alla fuga, abbandonando tutto quello che possedeva. Non voleva che la gente patisse la fame  per mancanza di lavoro.

Sono andato a prenderlo, ucciso da un colpo di pistola al cuore da distanza ravvicinata, per portarlo nella sua ultima dimora nel cimitero di Cualane a Quelimane.