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Progetto 58 - Chinde: la casa di accoglienza per orfani

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A Chinde, sperduta isola tra lo Zambesi e l’oceano, 50 bambini abbandonati o orfani sono ospitati in una Casa di Accoglienza costruita da OASI: occorrono circa € 1500 al mese per cibo, vestiario, materiale scolastico e igienico.

Dettagli

Orfanotrofio Chinde Chiama Bari

L’iniziativa di un orfanotrofio a Chinde nasce nel 2004 da un appello di Padre Renato Jò Angulete ,  missionario mozambicano cappuccino in Mozambico, ai suoi amici di Bari, conosciuti nel periodo di formazione nel Convento dei Cappuccini di Santa Fara.

Tutta la città di Bari si è mobilitata, dalle autorità alla gente comune. Un Comitato formato da laici e frati si è adoperato in numerose iniziative, eventi sportivi, spettacoli, riffe di beneficienza, per trovare fondi per la costruzione di una casa per 50 bambini orfani o in situazione difficile di una piccola isola del delta dello Zambesi. Li cura una suora che loro chiamano Mamà Maddalena, con il sostegno di Padre Renato. I bimbi vivono in una casa fatiscente, dormono per terra, i maschietti ammucchiati in un magazzino deposito di materiale vario, non hanno nulla, né letti, né tavoli, né stoviglie …

La costruzione dell’orfanotrofio comincia su un terreno offerto dall’Amministrazione comunale di Chinde. Le difficoltà sono tante, costruire a Chinde è un’impresa non da poco: tutto (cemento, legno, ferro ecc.) deve essere trasportato via fiume in ore e ore di barca, nella stagione delle piogge tutto si ferma … Nel 2007 un delegato di OASI resta a Chinde sei mesi per seguire i lavori, ma Padre Renato viene a mancare improvvisamente. I lavori dell’Orfanotrofio rimangono bloccati. Mamà Maddalena porta avanti con affanno l’educazione della sua numerosa nidiata, è malata e stanca, guarda con speranza la costruzione rimasta a metà.

Nel 2009 OASI invia nell’isola due suoi delegati  per tentare di sbloccare la situazione. Si costituisce la Comissão Chinde Chama Bari, formata da cristiani del luogo, che con difficoltà nel 2010 porta a termine la costruzione: è piccola, ma dotata del necessario, dormitori, bagni, refettorio,cucina. OASI e il Segretariato Missioni dei Cappuccini di Bari provvedono a fornire la struttura di tutto quanto occorre per la vita dei bambini che finalmente possono dormire in un vero letto. L’aiuto deve continuare per nutrirli, vestirli, mandarli a scuola.

Nell’ottobre del 2011, Mamà Maddalena, malata da tempo, viene a mancare, i suoi 50 figli restano orfani per la seconda volta. La Comissão Chinde Chama Bari continua ad assistere gli orfani come può. OASI non li abbandona.

Prog.58 - La difficile situazione dell'Orfanotrofio di Chinde - 04/05/2015

 

Per Giuseppe , socio di OASI, è stato molto disagevole raggiungere Chinde via mare e altrettanto tornare via fiume. Le condizioni dell’Orfanotrofio non erano delle migliori, da sei mesi avversato da problemi di acqua e di gestione. Giuseppe ha fatto riparare la pompa dell’acqua, ripulire i bagni, ritinteggiare il refettorio, montare 4 armadietti che aveva fatto costruire mesi fa. Ha richiesto al Vescovo un intervento più incisivo da parte del parroco, che peraltro esercita il suo ministero in una zona molto vasta e dispone di poco tempo. Giuseppe ha dato la propria disponibilità a trascorrervi qualche mese per migliorare la conduzione dell’Orfanotrofio, dove numerosi sono i bimbi piccoli, l’ultimo di appena 6 mesi. E’ una situazione complicata che interroga le nostre coscienze, questi piccoli non possono essere abbandonati ad un incerto destino.

Le ultime piccole creature arrivate all'Orfanotrofio

 

 

 

Il montaggio dei quattro armadietti nell'Orfanotrofio

 

I lavori di riparazione della motopompa

 

 

Brito e Zozimo, della Commissione si occupa dell'Orfanotrofio

Prog.58 - Orfanotrofio di Chinde - Verifica eseguita in loco da parte dei responsabili di Oasi - 21/11/2013

L’Orfanotrofio di Chinde (Prog. 58 di OASI) attualmente assiste 37 tra bambini in tenera età, adolescenti ed un ragazzo più grande di 21 anni; dei quali 21 di sesso maschile e 16 di sesso femminile.  Rispetto allo scorso anno non fanno più parte dell’Orfanotrofio 21 bambini dei quali il piccolo Tomè, 5 anni,  purtroppo deceduto per una infezione intestinale contratta mentre si trovava dai familiari. Cinque bambini di età compresa tra i 3 ed i 5 anni sono tornati in casa di familiari, mentre quindici adolescenti di età compresa tra gli 11 e 18 anni sono usciti dall’Orfanotrofio per cause varie, alcuni di loro anche per motivi disciplinari, ritornando comunque a vivere con i familiari.  

Nel 2013 sono stati ammessi 10 nuovi assistiti di età compresa fra 1 e 17 anni, fra i quali 4 fratelli di 4, 5, 12 e 16 anni, rimasti orfani di entrambi i genitori. Tra i 10 bambini ammessi il più piccolo, a cui è stato dato il nome di Pedro e compie 1 anno a dicembre, è stato accolto nell’Orfanotrofio qualche mese fa poiché la giovane madre, afflitta da disturbi mentali, vagava con il figlio senza fissa dimora per le strade di Chinde, dormendo all’aperto e sfamandosi di quel che trovava. La madre, su richiesta dell’Amministratore locale, è assistita nell’Orfanotrofio, garantendole il vitto ed un posto al coperto dove dormire.

Con il prof. Tino, un ragazzo in gamba che fa parte della Commissione e lavora presso la Direzione scolastica distrettuale di Chinde, OASI ha riorganizzato tutti i fascicoli personali dei ragazzi compilando per ciascuno di loro anche una scheda personale riassuntiva.

La gestione dell’Orfanotrofio

La morte di mamà Madalena ha senza dubbio lasciato un vuoto difficilmente colmabile. 

Dopo la sua dipartita la gestione dell’Orfanotrofio è stata infatti affidata ad una Commissione, costituita da un gruppo di persone di Chinde, tra cui il sig. Zozimo Antonio Gaspar, con funzioni di economo, ma in pratica un “tuttofare”, dal presidente sig. Orlando Bernardo Conquis, dalla sig.ra Aninha con compiti di sorveglianza dei ragazzi, pulizia della casa, cucina, organizzazione della vita all’interno dell’Orfanotrofio. 

I problemi riscontrati

La sig.ra Aninha, nonostante tutta la sua buona volontà, non riesce da sola a far fronte alle numerose incombenze quotidiane del Centro, sia per i carichi di lavoro, che per i suoi limiti personali, essendo analfabeta. Lei stessa è stata cresciuta da Mamà Madalena, fondatrice dell’Orfanotrofio, fino ai 16 anni. Si è sposata in giovane età, ora, rimasta vedova, si è offerta dopo la morte di Madalena di vivere nel Centro con i suoi tre figli e di assistere i bambini.La sig.ra Gloria, componente della Commissione, quasi ogni giorno assiste i bambini nella formazione religiosa e scolastica, ma gli altri componenti della Commissione sono piuttosto assenti. Occorrerebbe un’organizzazione del tempo libero, specie durante le vacanze scolastiche.

I servizi igienici e l’impianto elettrico del Centro,da poco realizzato, hanno bisogno di manutenzione.

Le camerate mancano di armadietti personali ove i bambini/ragazzi possano mettere le proprie cose anche per abituarli ad un senso dell’ordine.

Si avverte la mancanza di una persona che possa seguire più da vicino i bambini/ragazzi con maggiore attenzione nell’organizzazione del proprio tempo e soprattutto nel sostegno delle loro problematiche per un giusto accompagnamento nel loro percorso di vita.

La contabilità delle spese di gestione dell’Orfanotrofio tenute dal sig. Zozimo appare da un punto di vista formale sufficientemente organizzata; OASI ha istituito un registro nel quale dovranno essere riportati quotidianamente tutti gli alimenti utilizzati per il vitto. Il registro sarà compilato e custodito dal sig. Zozimo essendo Aninha analfabeta anche se sapendo apporre la sua firma dovrà quotidianamente sottoscriverlo facendosi assistere da un ragazzo del Centro di sua fiducia.

I pasti dovrebbero essere arricchiti con l’apporto di carne e frutta.

Incontro con la Commissione

Nell’incontro con la Commissione (responsabile della gestione dell’Orfanotrofio) OASI ha evidenziato tra l’altro le seguenti necessità:

-       acquistare nuovo vestiario poiché i bambini non sono vestiti in modo consono né all’età, né alla condizione di dignità

-       realizzare armadietti in ogni stanza ove ciascun bambino possa riporre la propria roba ed il materiale scolastico e personale. In ogni stanza sarebbe possibile realizzarne n.2 blocchi sotto ciascuna delle due finestre per complessivi n.12 ripostigli, pari ai letti a castello ed ai bambini. Il problema non è di facile soluzione, dato il costo del legname - circa 140 assi di legno - e alle difficoltà del trasporto da Marromeu o Mopeia a Chinde. Previsione di massima della spesa  complessiva, comprendendo la mano d’opera,  è di  circa € 1.500,00.     

-       mancanza di un locale per la Segreteria dell’Orfanotrofio, ove potere custodire  la documentazione e  lavorare.

OASI ha ringraziato i membri della Commissione per la loro disponibilità e per il loro impegno, facendo comunque alcuni rilievi sulla gestione dell’Orfanotrofio; ha fatto rilevare che nel progetto di accoglienza dei minori ospitati nel Centro Orfanotrofio occorre assicurare loro non solo il vitto e l’alloggio, ma prospettare un progetto di vita che debba accompagnare i minori sino alla maggiore età, quando dovranno essere aiutati all’inserimento nella vita sociale. Per fare ciò è necessario che durante tutto  il loro percorso di vita siano accompagnati con lo stesso affetto e preoccupazione con i quali si accompagna il percorso di vita dei propri figli, assicurando loro educazione, istruzione, gestione del loro tempo, formazione religiosa, formazione professionale. Solo così nel tempo sarà possibile trasformare il bambino accolto nel Centro in una persona adulta matura e capace di intraprendere un percorso autonomo e responsabile nella vita.   

Progetti produttivi gestiti dalla Commissione  

Progetto pesca: è fermo da molti mesi per la mancanza di reti da pesca.  Progetto agricolo: anche questo progetto è fermo da anni nonostante la disponibilità di 30 ettari di fertile terreno ubicato a circa 9 Km dalla cittadina di Chinde. Hanno ricordato che negli anni 2009 e 2010 si era riusciti a produrre orticoli, patate e riso, poi nell’ultimo anno il riso piantato non ha germinato e tanto non ha consentito di pagare gli operai ed acquistare nuove sementi per continuare la produzione. Il Centro possiede una motopompa, ma il progetto agricolo non può essere avviato solo con l’aiuto dei ragazzi del Centro, è necessario avvalersi del lavoro di contadini che vanno retribuiti.   

Progetto Allevamento bestiame: è questo un progetto in essere. Inizialmente mamà Madalena aveva 5 buoi; uno di questi fu macellato. Nel 2010 mamà Madalena decise di vendere i 4 buoi ricavandone 20.000 meticais (circa € 490) con i quali  acquistò 20 capretti. Attualmente i capretti sono 15 e sono stati affidati ad altro pastore. I 5 capretti mancanti sono stati macellati in occasione delle festività per le necessità dell’ Orfanotrofio.

Progetto trasporto fluviale di persone e cose con il Barco Paciencia II: Dal 6 settembre 2011 (data dell’incidente tra l’imbarcazione Paciencia II di proprietà dell’Orfanotrofio)  e l’imbarcazione di proprietà della Compagnia Sena, l’attività di trasporto fluviale è sospesa. L’incidente ebbe purtroppo conseguenze molto gravi con la morte di un bambino di 5 anni e la distruzione dell’imbarcazione. Il Tribunale di Marromeu in data 20.12.2012, nel giudizio di merito, attribuiva all’imbarcazione Paciencia II e, per essa, alla sua proprietà, il 30%  della responsabilità dell’incidente, poiché non aveva predisposto sulla imbarcazione tutte le misure di sicurezza per le persone trasportate. Per l’effetto ha disposto di condannare: 1) la Compagnia Sena a indennizzare la proprietà dell’imbarcazione Paciencia II per i danni subiti; 2) i proprietari di entrambe le imbarcazioni  a indennizzare la famiglia del bambino deceduto dell’importo di meticais 18.000 (circa € 440) in modo proporzionale alla percentuale delle responsabilità a ciascuno attribuite, mentre altri 2.000 meticais (circa € 50) vanno pagati alla famiglia dai componenti l’equipaggio della imbarcazione Paciencia II; 3) i membri dell’equipaggio, in solido con la proprietà dell’imbarcazione Paciencia II, a rifondere tutti i passeggeri dei danni subiti per la perdita dei loro beni.

Il sig. Zozimo ci ha detto che l’importo dei danni rimborsati si aggirano all’incirca sui 50.000 meticais (circa € 1.220). Ha aggiunto che fra circa due mesi la Compagnia Sena restituirà all’Orfanotrofio l’imbarcazione, che nell’incidente ha subito gravissimi danni, completamente ristrutturata. Il sig. Zozimo  ha espresso il desiderio di riprendere quanto prima l’attività di trasporto fluviale nonostante abbia espresso qualche perplessità.

Punti di forza e di speranza

Da pochi mesi nel Centro Orfanotrofio è arrivata l’elettricità che dà alla vita dei bambini una condizione di maggiore vivibilità. Le camerate durante la permanenza dei responsabili di OASI sono risultate sufficientemente in ordine e pulite. Si stavano facendo lavori di manutenzione con la tinteggiatura delle pareti esterne ed interventi idraulici.   I responsabili di OASI hanno parlato con il medico responsabile dell’Ospedale di Chinde perché tutti i bambini fossero sottoposti a visita medica ed analisi per verificarne lo stato di salute, cosa che è stata regolarmente eseguita nei giorni successivi e che, almeno mensilmente, fosse garantito un passaggio dall’Orfanotrofio di personale sanitario.

Con il delegato allo sport di Chinde si è raggiunto un’intesa affinché i bambini dell’Orfanotrofio possano assistere agli incontri di calcio del campionato locale con ingresso gratuito.

I responsabili di OASI sono stati anche presso l’Ufficio dell’Azione Sociale di Chinde dove, in assenza del dirigente responsabile, hanno parlato con il funzionario che lo sostituiva, chiedendo collaborazione per la gestione dell’Orfanotrofio, consegnandogli la lista dei bambini presenti e comunicando la presenza di una giovane persona adulta deficiente mentale, madre del minore assistito Pedro, alla quale si provvede a dare vitto e alloggio poiché vagava per le strade di Chinde in condizioni di estrema indigenza senza avere una fissa dimora. 

Da pochi mesi la Diocesi ha assunto la responsabilità in loco del progetto di gestione del Centro

Dall’incontro che i responsabili di OASI hanno avuto con il Vescovo e con il Parroco di Chinde, ai quali hanno illustrato tutte le loro perplessità e i problemi dell’Orfanotrofio, è emersa la volontà di questi ultimi ed il loro impegno  di prestare una maggiore attenzione tesa ad orientarne meglio la sua gestione.

OASI ha chiesto, per la gestione dell’Orfanotrofio, la presenza di religiose; le è stato risposto che nell’immediato ciò non sarà possibile, anche per l’indisponibilità di religiose, presenti sul territorio in numero esiguo. E’ stata comunque assicurata ad OASI la costante presenza a Chinde del Parroco o, in sua assenza, del Viceparroco, i quali dovranno prestare una particolare attenzione al controllo della  gestione e delle  problematiche dell’Orfanotrofio: ”Il Centro Orfanotrofio,  ci è stato detto dal Vescovo, deve diventare parte integrante degli impegni della Parrocchia di Chinde” e, per tale ragione, sarà proposito dello stesso costituire un’Associazione che dovrà gestire da vicino le problematiche del Centro. L’Associazione dovrà assistere il Centro e mettere a frutto i progetti  produttivi dell’Orfanotrofio.   

OASI ha consegnato al Vescovo il Regolamento del Centro ed altri documenti amministrativi che ha ritenuto potevano essere necessari a lui o al parroco per attivare questo nuovo processo di gestione.

Questo nuovo impegno di gestione del Centro Orfanotrofio da parte della Diocesi rappresenta una  opportunità molto importante che abbiamo il dovere di cogliere e sostenere per continuare ad assicurare l’assistenza ai bambini che sono già ospiti della istituzione, ma anche perché, in prospettiva, potrebbe rappresentare un importante processo di presa di coscienza, di crescita e di responsabilizzazione di quella Comunità.

Prog.58 - Un viaggio difficile - di Bernardino Sgobba - 17/07/2013

Uno dei compiti affidatomi da OASI era la visita a Chinde, sperduta isola del delta dello Zambesi, per ispezionare l’andamento dell’orfanotrofio Chinde Chiama Bari, sostenuto da OASI.

Alle sette di mattina da Mopeia dove ho passato la notte, mi sono avviato in macchina verso Luabo,  dove mi aspettava Padre Jaime, parroco di Chinde,  con cui ci saremmo imbarcati alle 10 alla volta dell’isola. Ho percorso i 70 km accodandomi ad altre macchine, erano infermieri che andavano a Chinde per un progetto di salute per la cura e la prevenzione dell’AIDS. La strada era inaspettatamente buona, tranne nell’ultimo tratto.

Al porto di Luabo, piccola cittadina sullo Zambesi, la barca non c’era, è arrivata alle 13. Siamo partiti alla volta di Marromeo, importante e operosa cittadina, a circa 20 km sull’altra sponda, sede tra l’altro di una fabbrica di zucchero che, lavorato, viene poi trasportato in container su chiatte fluviali fino a Chinde lungo lo Zambesi e poi imbarcato sulle navi che attendono alla fonda nell’oceano. Marromeo  è l’ultima stazione di risalita del grande fiume di queste piccole barche “di servizio”, di lì si ricomincia la discesa verso Chinde, cioè verso il mare

Eravamo una sessantina a bordo, numerose sono state le stazioni di sosta, dove alcune persone scendono e altre salgono, trasportando di tutto, cocco, pesce secco, biciclette, fagotti di prodotti, dando vita a quell’incessante movimentazione di attività che gravitano intorno alle sponde di questa imponente via d’acqua. L’andamento è lentissimo, la nostra vita frenetica qui non ha senso, gli orari di partenza e di arrivo, imprevedibili, l’attesa è una prassi a cui tutti si adeguano con imperturbabile fatalismo. Per noi che veniamo da una vita scandita dagli orari è un esercizio di pazienza non da poco!

All’ultima fermata, la sosta si è prolungata, intanto la marea ha cominciato a scendere tanto che la barca è rimasta in secca, impensabile prevenire l’inconveniente spostandola in acque più fonde, oltretutto la chiglia piatta non avrebbe favorito l’operazione. Siamo rimasti in secca dalle 19 alle 4 di mattina quando la marea è risalita ed è stato possibile riprendere la navigazione. Siamo arrivati a Chinde alle 11, invece che alle 21 della sera prima come era previsto. Anche questo è l’Africa!

L’accoglienza è stata festosa, l’orfanotrofio era in ordine, ci aspettavano. Alcuni bambini vestivano grembiulini (avuti dalla moglie del sindaco, mossa a compassione dal loro bisogno), altri erano vestiti di stracci. Mi sono reso conto che non posseggono di che vestire e che una delle cose più urgenti è procurare una balla di indumenti.

Li assiste Nannina, vedova, mamma di quattro figli, anche lei accolta e cresciuta da Mamà Maddalena, viveva a Luabo ed è tornata a Chinde dopo la morte di Mamà. Nannina, semplice mamma africana, non ha gli strumenti culturali ed educativi per tirare su 36 bambini, occorrerebbe darle un aiuto qualificato, ideale sarebbe la presenza di religiose. Il numero dei bambini è diminuito, perché i più grandi sono ritornati presso i parenti.

Durante il pranzo i bambini erano sparsi nel cortile col proprio piatto in mano, li ho mandati tutti a lavarsi le mani e li ho esortati a fare una preghiera seduti alla mensa prima di mangiare, ma domani?

La struttura dell’Orfanotrofio ha bisogno di urgente manutenzione, riparazione del tetto, dell’impianto idraulico e idrico, scolo delle acque piovane. La Commissione non sta funzionando bene, per questo auspichiamo vivamente che entri a farne parte Padre Jaime, in modo che, sotto l’egida del Vescovo, ci sia trasparenza e rigore nella gestione e nell’educazione dei bambini.

Aggiornamento da Quelimane di Bernardino Sgobba - 26/06/2013

Ho incontrato il Vescovo di Quelimane, Mons. Hilario da Cruz Massingue. L'incontro è stato lungo e cordiale. Ci siamo intrattenuti su varie questioni concernenti soprattutto la situazione dell'Orfanotrofio di Chinde. Era presente anche Padre Jaime, diocesano, responsabile della Parrocchia di Chinde. Il Vescovo si è mostrato molto disponibile ad una collaborazione con OASI e con la Comissao che attualmente gestisce l'Orfanotrofio. Nella sua prossima visita pastorale nell'isola, che avverrà alla fine di settembre, sarà sua prima cura incontrare i responsabili dell'Orfanotrofio e approfondire le varie questioni inerenti alla sua gestione.

Bernardino Sgobba

 

 

 

 

 

Mamà Paciencia - 10/10/2009

di Antonietta Sgobba

Paciencia è nome di una barca, ma anche l’icona della sua padrona, Maddalena, che così l’ha voluta chiamare.

Partiamo da Quelimane alle sei di mattina, cinque ore di fuoristrada via Mopeia fino a Luabo, antico porto dello zucchero sullo Zambesi. La Paciencia ci attende per portarci a Chinde, ultima delle molte isole del delta, tra due bracci dello Zambesi e l’Oceano Indiano. Il buco del mondo, come lo chiamano i missionari.

Per 5 ore la barca solca le acque agitate, seguendo la corrente del fiume e della marea verso il mare.

Per tutto il viaggio Maddalena non parla, non mangia, non beve. Sul suo viso, l’ombra scura del dolore; forse nella sua mente passa il film doloroso della malattia e della morte improvvisa di Padre Renato, il promotore del proggetto “Chinde chiama Bari” finalizzato alla costruzione di un orfanotrofio per i 45 bambini che Maddalena ha accolto nella sua casa, salvandoli da situazioni di abbandono, di violenza ed anche di estremo pericolo di vita.

1987, Suor Maddalena, al ritorno da Mocuba dove aveva compiuto il corso di infermiera, trova che venti di guerra soffiano nella sperduta isola di Chinde. Appena a due chilometri dall’abitato si è stabilito il quartel (centro di comando) della Frelimo. Le suore abbandonano la missione, la gente fugge, la cittadina si svuota, i malati fuggono dall’ospedale, anche i feriti con le gambe ingessate e quelli gravi con ferite aperte. Nella notte razzi traccianti segnalano la presenza dei guerriglieri della Renamo, lo scontro a fuoco può essere vicino. Correndo verso casa, Maddalena incontra i primi bambini soli, tre, il più piccolo è Narciso, poliomelitico, i genitori sono stati uccisi. Li porta con sé, uno in braccio, gli altri attaccati alla veste, li vuole nascondere in casa. Un militare della Frelimo le sbarra la strada: “Fuggi, l’avverte, fuggi con gli altri!.” “Si’, sto andando!” Ma dove? Chi le darà una barca, per lei e per i suoi bambini?, andare dove con questi piccoli? nella boscaglia incontro a che cosa? da che parte? Meglio restare, meglio morire in casa. Un altro soldato avanza con l’arma spianata:”Cosa fai qui? fuggi!” “Sto fuggendo!”. Ma la decisione è presa!

Poi altri bambini si sono aggiunti. Una bimba l’ha salvata da morte certa: secondo una barbara usanza doveva essere sepolta viva con la madre morta.

Il racconto si spegne alla luce incerta della candela; è la sera del congedo da questa donna forte, oggi stanca di anni, di privazioni e di dolore, stanca non nel fisico, lei precisa, ma nella testa. Non ci sentiamo di condannarla per lo stato di estremo degrado in cui versano i bambini! Siamo rimasti scioccati vedendoli mangiare con le mani nel piatto, seduti per terra, come i cagnolini che circolano tra loro annusando nei piatti e approfittando delle briciole che restano. Non possiamo condannarla se uno dei piccoli è stato ustionato da un altro bimbo nell’inguine con un tizzone ardente, mentre lei era via a Quelimane per assistere Padre Renato; nè se i bimbi dormono per terra accucciati su una stuoia, non ci sono letti, del resto qui è una cosa molto comune, né se la sporcizia è un secondo vestito, non hanno sapone. No, Maddalena, non possiamo condannarti! A 72 anni lavori ancora come infermiera nell’ospedale locale, lo stipendio serve per andare avanti e 45 bocche da sfamare sono tante.

 Nella casa di Maddalena è ora di cena, tutto si confonde tra il nero della notte e della miseria. In un angolo una ragazza singhiozza forte: è una delle figlie più grandi, venuta a piedi da 30 chilometri di distanza che apprende solo ora che papà Renato non c’è più. Poi mi dirà che ha due figlie, che il marito l’ha lasciata per un’altra donna. Come farà ora mamà senza aiuto e con poca salute? Si chiede sconsolata!

Intorno spuntano visetti di tutte le età, divertiti nel vedersi ripresi dalla macchina digitale. Divorano il loro piatto di riso, non importa se è un po’ bruciacchiato e condito solo con un pesciolino secco. Jo è il più vivace di tutti, si strofina al mio braccio come un gattino che fa le fusa, è una chiara richiesta di carezze. Mangia un mango acerbo: “Mamà Maddalena, non gli verrà mal di pancia?” “Se glielo tolgo, ne prenderà un altro”- mi risponde. Capisco tutta la stanchezza che cela questa risposta; mamàMaddalena non ce la fa più, non ce la può fare da sola con 45 bambini, come condannarla?

Di fronte alla casa che trasuda miseria, sta sorgendo la nuova sede dell’orfanotrofio. Un cartello con i dati porta scritto: “Orfanotrofio di Chinde, donatori: Chinde chiama Bari, patrocinato daí Missionari Cappuccini, tempo di esecuzione:18 mesi”. Sono passati gia’ due anni dall’inizio dei lavori, tutto procede a rilento in un paese che si trova alla fine del mondo, dove anche le pietre sono trasportate via terra e poi via fiume da 250 chilometri e tutto l’altro materiale da molto più lontano. I muri sono all’altezza delle finestre, il lavoro è fermo per mancanza di ferro e di legno da costruzione, molto lentamente gli operai fanno i mattoni con sabbia e cemento  seccati al sole, uno alla volta, uno su tre si disfa. Forse per Natale ci sarà il tetto?

Mamà segue con gioia ed ansia questa costruzione. E poi?...

 Alle tre di notte ci avviamo verso il fiume per riprendere la Pacienciaper il viaggio di ritorno  Sotto le palme si sentono suoni di batuque(tamburi): danzano per tutta la notte per evocare gli spiriti, finché qualcuno in trance comincerà a correre verso il fiume, così ci spiega il pilota.

Il vento che poco prima pareva scuotere l’isola si va calmando e Paciencia scivola sul fiume d’argento sotto la luna. Il pilota la guida sicuro, ora bordeggiando la costa, ora tagliando le ampie anse, seguendo una bussola invisibile. Siamo 15 persone a bordo; tranne il pilota ed il motorista, tutti dormono. Io non posso, nella mente il ricordo di 45 creature e della loro mamà Paciencia si fa martellante,in una notte piena di mistero e di domande senza risposte, scandita dal ritmo del motore che spinge una barca sullo Zambesi.

Notte sul fiume - 30/04/2009

NOTTE SUL FIUME

di Antonietta Sgobba

Piove!   ma non aveva detto Alexandre, il pilota della barca Paciencia, che con tempo nuvoloso non si partiva?  Navigare di notte con cattivo tempo può essere pericoloso sullo Zambesi, aveva aggiunto, può succedere un incidente…! D’accordo se piove, non si parte!

Ma eccoci sul sentiero sabbioso per il porticciolo, si va, ci hanno chiamati alle 21. Nino è davanti, poi Gloria che ci aiuta con i bagagli, un fagotto sulla testa incede col passo elastico e naturalmente elegante delle donne africane, Maddalena, Mamà dei 50 bambini dell’Orfanotrofio “Chinde Chama Bari”, è un po’ più arretrata, l’aspetto,non vedo quasi nulla, la luce della mia torcia è flebile, ho le mani occupate dai bagagli , non posso girare la manovella che la ricarica! Camminare sulla sabbia va bene, ma arrampicarsi sull’ammasso di ferraglia arrugginita e scivolosa di pioggia delle carcasse di barche che fanno da argine e da molo per scendere nella barca è meno scontato, tra un passo e l’altro,  voragini di ruggine, qui mi sfracello! La luna ci ha tradito! Ci contavo per affrontare il viaggio di ritorno da Chinde.

Siamo venticinque sulla  barca! sagome scure di cui non percepisco il volto,  silenziose! ma da che ora sono lì che aspettano? Mancavamo solo noi! Ma come? Tutto qui il posto? Seduta con altri quattro su un banchetto, i bagagli sotto i piedi, stretta tra Nino e un uomo corpulento, sono zuppa, la pioggia si infila da un foro del telo di plastica del tetto. Sono furiosa, come affrontare dieci ore di navigazione fino a Marromeu? “Mi  beccherò un’infreddatura! Ma Nino- mi rivolgo al mio compagno di viaggio-fa qualcosa! Non potevamo pagarci tutta la barca e viaggiare più “comodi”? E’ un suicidio di massa, tanta gente su una barchetta, in una notte di temporale..! ma possiamo stare dieci giorni a Chinde per seguire la costruzione dell’Orfanotrofio per i 45 bambini, patire tanti disagi (niente acqua, nè elettricità, né igiene, zanzare ,topi…).  e poi tornare rischiando di arrivare a destinazione come quel pesce secco maleodorante che il mio vicino di posto trasporta in una cesta?”  Nessuno fiata, nessuno protesta, c’è una donna con un bimbo di pochi mesi avvolto nella capulana (panno) che le scende dalla testa, ci sono due malati che vanno all’ospedale di Marromeu, ognuno di queste persone avrà un buon motivo per affrontare un viaggio simile! Per tutti la situazione è normale, tranne che per me! Nino mi fa spostare vicino a Mamà che apre un ombrello, ecco, prima l’acqua mi gocciava in testa, ora scivola lungo l’ombrello sui pantaloni. Mi avvolgo nella coperta che abbiamo preso a bordo dell’aereo pensando proprio al ritorno di notte sul fiume, è calda, morbida, ne dò una anche a mamà, l’accetta con gratitudine. La Paciencia parte. Sono le 22,30, il motore ritma il lento scivolare sulle acque scure che ogni tanto riflettono la luce dei lampi. A poco a poco la mia rabbia sbolle. Cosa ho io di diverso dagli altri?  Solo qualche euro per pensare di avere una barca, se pure malandata, tutta per me. Questo mi darebbe un diritto in più? Ognuna di quelle persone ha il mio stesso diritto di viaggiare comodamente e in sicurezza, in più loro pagano il  viaggio, io, privilegiata, no, sono l’ospite. Mi vergogno un po’ della mia rabbia di prima.

La barca va contro corrente, per questo bisogna sfruttare l’onda di marea che sale di notte. Le ore passano lente, solo il rumore del motore rompe il silenzio, tutti sonnecchiano, io non posso. Nella mente passano volti e situazioni. Il visino del piccolo Jorge, tre mesi, ultimo arrivato nell’Orfanotrofio, uccellino caduto dal nido, ultimo di otto fratelli, la mamma morta di colera, lui non ce l’ha fatta, dopo una settimana nel piccolo ospedale dove manca anche un misurino per dosare il latte, un’inarrestabile dissenteria se l’è portato via. E la tristezza nei grandi occhi di sua sorella  Esmenia che lo accudiva con tanto amore e tanta inesperienza. Chico,due anni fa era un frugoletto birichino, cresce forte, che meraviglia la canna da pesca col mulinello che Nino ha portato, la viene a chiedere per gli altri più grandi, al tramonto tornano orgogliosi con una bella pesca. Narciso, venti anni,il più grande, ma con la mente di un bambino, trascina i compiti di matematica come la sua gamba poliomielitica, ma come gli brillano gli occhi quando racconta che la famiglia dell’Orfanotrofio si è accresciuta di quattro altri piccolini nell’ultimo anno. 

Vaghi profili di isole si delineano, mi chiedo quale istinto conduca il nostro nocchiero Alexandre per orientarsi nella notte buia, taglia le anse del fiume, segue forse dei segni noti a lui solo, la sagoma di un ciuffo di alberi, una riva più alta, una curva più ampia o più stretta? Qual è la sua bussola? Guardo avanti e … una sagoma scura si staglia davanti alla prua …, avanza, no , è la barca che gli va contro…, girerà, virerà, ma quando? Scuoto il ginocchio di Nino anche lui addormentato, si sveglia giusto in tempo: la barca impatta contro un folto canneto. Un attimo di sgomento generale, solo il tempo di realizzare che ci siamo arenati, anche il motore tace; qualche mormorio, nessuno si muove. Alexandre, bravo nocchiero, ti ho visto già alla prova, ma stanotte, oltre alla luna, un colpo di sonno ti ha tradito. E’ la fatica delle notti insonni passate a vegliare e a ricordare la tua bimba di dieci anni morta di tubercolosi solo qualche giorno fa?  L’avevi portata  dal curandero,inutilmente sottraendola alle cure mediche!

Il pilota e i due suoi aiutanti scendono in acqua per un improbabile tentativo di disincagliare la barca. Benchè nel fiume sembri un fuscello, a terra la Paciencia è un pachiderma. Sono angosciata all’idea che gli uomini, in acqua fino alla cintola, pestino dei coccodrilli, ignoro se siano svegli di notte. Qualcuno ridacchia, beata incoscienza o fatalismo africano? Se sono tranquilli loro posso esserelo anch’io. Guardo il cellulare, le 12,40,non c’è rete!Comincio a pensare: chissà se qualcuno mai passerà di qui, pare che abbiamo imboccato un braccio laterale, siamo persi! Qualche passeggero si decide a dare una mano, la Paciencia scricchiola e si disincaglia. Gran sollievo!Alexandre riavvia il motore, che, dopo qualche borbottio, resta muto. C’è un po’ di trambusto a poppa, battere di ferri contro l’elica, poi un tonfo, la chiave inglese è andata a picco!Niente da fare: il cuscinetto dell’albero dell’elica è rotto. Niente motore, niente remi, né luci, né boe, né rete telefonica, riprende a piovere e all’orizzonte brontola il tuono e barbagliano i lampi,ma stiamo tutti bene…!

Maddalena,la dona (padrona), si lamenta: “Mia Paciencia, che ti è successo?” Con il solo ausilio di una pertica di bambù la barca comincia a bordeggiare sbattendo ora di poppa ora di prua contro arbusti,sterpaglie, piante acquatiche che a tratti si infilano oltre la fiancata insieme a nugloli di zanzare, cavallette e insetti vari. Ogni tanto Madalena ammonisce:”Alexandre, cuidado!Attento!” “Si Mamà!” lui risponde con dolcezza rassicurante,una risposta di conferma al carisma di Mamà,non solo perché è anziana, né perché è la padrona della barca, ma perché quando lei parla tutti ascoltano con rispetto.

Dove andiamo?A ritroso nel buio!Sentiamo a poppa qualcuno che parla al telefono: allora c’è rete? “Si-risponde  Zozimo -ho contattato la Capitaneria di Chinde,ora sanno che siamo in avaria”. E’ un sollievo! Alexandre getta l’ancora. Tutti siamo più distesi, ci sono persino scoppi di risa. Mi ricordo di avere degli zampironi antizanzare, ne accendo uno. Qualcuno ne approfitta per accendersi una sigaretta.  A poco a poco cala il silenzio, si sente solo il tuono lontano. Tutti sono ripresi dal sonno.

D’improvviso, Alexandre tira l’ancora: la marea sta calando potremmo arenarci di nuovo e i probabili soccorsi non potrebbero raggiungerci… La barca riprende ad andare alla deriva. Chi ha detto che la paura dà un brivido freddo? Io sento una sorta di calore montare lungo la schiena. Quello che non è successo prima, potrebbe succedere ora, potremmo andare a sbattere contro un tronco e naufragare, oppure potremmo prendere la corrente grande e, essendo senza governo, trovarci nell’oceano… ! Di quale fine periremo? Morsi da chissà quale animale o bevendo quest’acqua torbida mista a fango? Io e Nino preghiamo! Si dice che quando si è in pericolo grave si rivede tutta la vita, sinceramente non mi viene in mente niente se non di dire a Mamà: ”Sarebbe meglio gettare l’ancora e attendere l’alba!”  Consiglio accolto. E’ un buon segno, vuol dire che non mi sento in grave pericolo e che sto imparando la pazienza africana, accettare le situazioni ed uniformarsi, cercando di trarre il meglio:è l’unica filosofia vincente.

Il tempo è relativo: ogni ora dura un’eternità, il cielo comincia a schiarirsi verso le cinque, mi aspettavo un alba dalle dita rosate, invece è un’alba grigia, livida. Il Grande Fiume si palesa nella sua mutevole anima: immane massa d’acqua, ricchezza e tribolazione per le genti rivierasche dei cinque Paesi che attraversa, via di comunicazione, ma anche di divisione se mancano le strutture per il trasporto. Tutta la notte ho fatto un sogno ad occhi aperti: è così impossibile tornare a navigare questo fiume in modo sicuro e confortevole come succedeva cinquanta anni fa con i battelli a pale? Il progresso non giungerà mai a questa gente, dovrà continuare a viaggiare come noci di cocco gettate alla rinfusa sul fondo di una barca? Cosa possiamo fare?...

Si tira l’ancora. L’unica pertica di bambù passa da poppa a prua, si ricomincia ad andare alla deriva. Qualche rara canoa ci incrocia, ma non si ferma,mi sembra indifferenza, ma no! non ci pensavo, per loro è normale navigare con una pertica di bambù, è a noi che sembra strano: importanza dei punti di vista … Così per tre ore,  alle otto i soccorsi ci sorprendono impegnati in un vortice che ci faceva girare in tondo senza poter avanzare.     

Conclusione

Ritornati a Chinde, siamo ripartiti la notte seguente con la Paciencia riparata e ancora più carica. Dopo un’ora e mezza di navigazione il motore va in avaria…!

 

 

 Non so se saremmo stati capaci di affrontare un’altra notte sul fiume. Per fortuna una seconda barca seguiva a distanza di mezz’ora. Vorrebbero soccorrere solo i bianchi. Ho un moto di rivolta. Poi … si salvi chi può! I bagagli volano oltre la sponda della barca soccorritrice e finiscono nell’acqua oleosa di sentina. Nino scavalca la fiancata, mi tira su sollevandomi. Non mi rendo conto di chi ci segue. Dopo vedrò con sollievo che Mamà, Zozimo, l’economo della Comissao Chinde Chama Bari (cfr. Miss. N. n.2), Inocencio, costruttore dell’Orfanotrofio e molti altri sono con noi, siamo cinquanta!. Il viaggio fino a Marromeu durerà 13 ore, con varie fermate “di servizio” nella notte per caricare il cocco, spostarlo per  equilibrare il peso e impedire di continuare ad imbarcare acqua, far scendere e salire le persone.

Arriveremo a Quelimane alle 21,30 di sera, dopo tre ore di jeep fino a Caia, dove abbiamo attraversato lo Zambesi su uno zatterone zeppo di camion, lo sovrasta il nuovo ponte di prossima inaugurazione costruito dagli italiani. Un chapa (mezzo di trasporto in comune) ci ha portato a destinazione. Per strada apprendiamo per telefono con dolore della morte dl piccolo Jorge. Zozimo, responsabile della Comunità cristiana, dando disposizioni per il funerale mi ha detto “Forse tutto quello che è successo, era per prevenirci di questa disgrazia e dirci di non partire, per accompagnare la fine di questo piccolino.” Ho trovato questo pensiero espressione di un delicato sentimento di partecipazione cristiana e umana.

Siamo sfiniti, ma contenti! Il nostro viaggio è stato fruttuoso: la costruzione dell’Orfanotrofio è ripresa, pensiamo di far costruire i letti nella scuola di Arte e Mestieri, ma soprattutto abbiamo costituito una associazione di dieci persone che d’ora in poi prenderà la responsabilità della gestione dell’Orfanotrofio e dell’educazione dei bambini. Zòzimo, economo della Comissao, e Maddalena, la Presidente, ci accompagnano per formalizzare a Quelimqne la costituzione dell’Associazione. Mamà potrà d’ora in poi riposare la sua testa stanca, sempre in ansia sulla sorte della sua nidiata. Quanto a noi questa esperienza ci ha insegnato a condividere la sofferenza della gente, a confermarci nella necessità di continuare a lavorare per una più equa distribuzione delle risorse nel rispetto dei diritti umani, ad apprezzare di più tutto quello che abbiamo.

 

 

Conclusa la campagna “Chinde chiama Bari” - 06/01/2005

Nel mese di dicembre 2004, per concessione del Comune  su interessamento dell’Assessore alla Cultura Nicola Laforgia,un concerto dedicato a Nino Rota per i 150 anni del teatro Piccinni di Bari è stata l’ultima occasione finalizzata alla raccolta di fondi per la costruzione di una casa di accoglienza per bambini della strada nella lontana isola di Chinde in Mozambico. Il numeroso pubblico ha accolto l’invito alla solidarietà rivolto dal presentatore Michele Mirabella e dal missionario P. Francesco Monticchio. Sono stati raccolti 3000 €.

Nel corso della celebrazione Eucaristica tenutasi il 9 gennaio nel Santuario di Santa Fara a Bari, i promotori del Progetto, il Consigliere Comunale Antonio Di Matteo e Sergio Scarcelli, che senza risparmio di energie, con la collaborazioni di frati e laici, tanto si sono prodigati alla riuscita delle numerose iniziative, hanno consegnato nelle mani di P. Fortunato Simone, economo della Vice Provincia del Mozambico, il frutto dell’intera raccolta, cioè 66.000 €.

Il Centro di accoglienza sarà intitolato alla città di Bari in segno di gratitudine e a testimonianza di una gara di solidarietà durata un intero anno.




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